Una storia lunga un secolo. Lauro, Togliatti, Andreotti: quando il calcio fa politica

25/03/2010 alle 09:12.

IL GIORNALE (T. DAMASCELLI) - «Romanisti, votate Evangelisti», così suggeriva lo slogan elettorale del braccio destro di Giulio Andreotti nei favolosi anni Sessanta. Il «Divo», non ancora tale a livello cinematografico, aveva spinto il suo consigliere alla presidenza della Roma calcio, da qui gol e voti. Un po’ ci ha provato la Polverini, lupacchiotta di nascita, lazialotta per esigenze di elezioni regionali. Ma la storia della politica e del pallone è vecchia come il cucco e comune in ogni parte del mondo. Se Mitterrand pone la legione d’onore sul petto di Platini, l’erede Chirac riceve all’Eliseo i campioni del mondo di Francia del Novantotto e dichiara Zidane eroe nazionale. Re Juan Carlos di Spagna ha addirittura una



Gli inglesi vengono a patti con il sacro football e il governo consegna delega al mister italiano Capello di togliere la fascia di capitano allo sciupafemmine Terry. Qualcuno ha dimenticato il fu generale Videla e l’Argentina di Menotti campeon del mundo nel Settantotto? E Spadolini che sventola il tricolore per il mundial azzurro in Spagna? Si sale sul carro del football per amore e per desiderio elettorale. Achille Lauro comprò Jeppson dall’Atalanta versando 105 milioni tra acquisto e salario, l’operazione serviva al partito monarchico di cui il comandante era leader partenopeo. Così come Ceausescu junior, Valentin, si occupava della Steaua di Bucarest per portare in alto il nome della patria e del partito, così come la base militante del partito comunista italiano sventolò le bandiere rosse allo stadio Olimpico di Roma nella partita dell’Italia contro l’Urss nel Sessantatré, finita 1 a 1 con un gol di Rivera, futuro deputato. Come fu onorevole per meriti pallonari il centravanti romanista Amedeo Amadei con diciottomila voti di preferenza nelle liste della Democrazia cristiana. Si diceva di Mussolini e delle sue interferenze nella vita calcistica. In verità al duce garbavano il nuoto e il tennis al punto che, secondo leggenda, un giorno la sua vettura fu sfiorata dall’auto guidata da Fuffo Bernardini. Due poliziotti si recarono a casa del Dottore (laurea alla Bocconi nel ’28) per ritiragli la patente ma Mussolini decise di invitare, grazie a Monzeglio, a una sfida tennistica di doppio a villa Torlonia l’audace guidatore e lo distrusse in due set.

Il calcio «popolare» diventò terreno fertile per la cultura di sinistra fino a quel tempo dedita al ciclismo e alla boxe, discipline di sacrificio e di sofferenza. Così l’Unità dedicava spazio ai servizi sul campionato di calcio, così Togliatti si dichiarò di fede juventina nonostante la Fiat, così dopo di lui Lama in antitesi sindacale con Agnelli, alla pari di Bertinotti nemico politico di Berlusconi ma di lui fedelissimo tifoso in quanto milanista. Detto di Craxi che spinse Borsano dalla presidenza del Torino a un posto in Parlamento, detto di Vittore Catella, presidente bianconero che, candidato del Partito liberale, inventò lo slogan per le vie di Torino: «Per una più bella votate Catella», detto di De Mita che con il gallerista Tanzi discuteva a tavola dell’Avellino per le cui partite, stranamente, veniva designato, a volte, l’arbitro Michelotti di Parma, detto di Massimo Moratti vicino di idee e di aiuto elettorale a Walter Veltroni a differenza del proprio fratello, Gian Marco, su opposta barricata, detto di tutti costoro, il totale è uguale da sempre: l’uso del pallone per altri fini, raccogliendo trofei, scudetti, coppe ma soprattutto, consenso, voti. E non in pagella.