San Giovanni, il rogo delle speranze

15/03/2010 alle 09:28.

IL ROMANISTA (S. PACIFICI) - Non era un’alcova per trans brasiliani, non era una bisca cinese dove si scambiavano mazzette da cento euro sul mahjong, non era un deposito clandestino di cianfrusaglie taroccate da mettere sul mercato a due soldi. Era solo un locale, tutto sommato arrangiato alla bell’e meglio, dove poter fare quattro passi di salsa e di bachata, a ridosso del multirazziale San Giovanni. Un Sabor latino a uso e consumo di una comunità sudamericana che improvvisamente e tragicamente s’è trasformato in un odore di morte per quattro ragazzi, tutti poco più che ventenni.

 

Perciò stona adesso sentire qualcuno che dice “si sapeva, quel locale andava chiuso, troppo casino” e giù di lì. A maggior ragione se, come sembra, a trasformarsi in strumento di morte è stato qualcosa che ha a che fare con la musica, il divertimento, l’allegria spensierata di una serata. Un bastardo amplificatore ha amplificato un altrettanto bastardo destino che covava. Facevano confusione, quei ballerini del sabato, può darsi. E confusione o casino o gazzarra oltre i limiti non vanno fatte, vale per tutti, anche per le discoteche. Erano tanti, troppi, dentro quel locale. E troppi, nel momento della necessità, diventano una calca che impazzisce e si danneggia da sola. Forse il locale non aveva le autorizzazioni richieste. E le autorizzazioni richieste vanno, appunto, richieste ed eventualmente concesse dopo aver controllato. E i controlli vanno fatti, perché una à senza regole e senza controlli è una à che presto scivola nella deriva della deregulation. Il che non è possibile.

 

Però la stessa à uno sforzo lo deve fare. Troppe volte in passato s’è gettata benzina sul fuoco dell’immigrazione e del suo rapporto spesso difficile con i residenti. Prendere il toro per le corna, affrontare il problema anche delle regole ci può stare, si deve fare per restituire le certezze del diritto. Ma i toni contano, e contano soprattutto le volontà di seguire percorsi di condivisione, se si vogliono affrontare i problemi con serietà e lungimiranza. Erano ragazzi, quei poveri quattro, che volevano divertirsi per una sera. Come fanno tanti sudamericani di Roma: gente solitamente integrata, che lavora presso famiglie e che sente nelle corde della vita la necessità, una volta a settimana, di gettarsi un’esistenza difficile alle spalle e fiondarsi su una pista improvvisata scaricandosi nel merengue.

Forse quello non era il locale adatto, e chi ha fatto qualcosa che non doveva fare sarà giusto che paghi. Ma non chiudiamoci gli occhi: se la à non vuole spazi di degrado, offra spazi di vita. Al di fuori di questo, altrimenti, ci sono solo disperazione e tragedie. Più o meno annunciate.