
IL ROMANISTA (F. STINCHELLI) - Righetto, mio padre, aveva due passioni: il calcio e lautomobile. Le coltivava con cura scrupolosa. Non si perdeva una partita (della Roma, va da sé), e la sua Lancia era sempre uno specchio. Dobbiamo capirci: essere al tempo stesso romanista e lancista, in quegli anni Trenta ormai remoti, era un lusso per pochi. Significava appartenere a unélite di privilegiati, a una sorta di club di unti del Signore, il cui motto suonava così:
State a sentire cosa ti va a succedere in quellaprile del 1935. A Righetto arriva la nuova macchina. Una Lancia, naturalmente. UnAstura, in particolare, unauto da sogno, di quelle usate dal Re e dal Duce alle sfilate. Tutta blu, lustra e con linterno in panno lenci. Evitiamo in proposito idee sbagliate: mio padre era tuttaltro che ricco, ma, secondo un inveterato stile di famiglia, amava vivere al di sopra dei propri mezzi.
Quellaprile era già piena primavera e la Roma, quarta in classifica, si accingeva alla trasferta di Livorno. Allinterno dellAstura spiccava, da un lato, il portafiori in cristallo Lalique, con un mazzo di profumate violette. Unidea di Righetto per ingraziarsi la mamma, con queste parole: "Nine, da quantè che non facciamo
una bella gita domenicale? Ne parliamo, ne parliamo...Be, sta volta, ho unidea precisa e faccio sul serio. Livorno: un cacciucco che non ti dico...". E la mamma, ben conoscendo il suo amato: "Dìmmi, questo prelibato cacciucco, in quale stadio lo servono?". Quella domenica, si partì prestissimo, era notte fonda. Io, poi, per lemozione, non avevo dormito affatto. Tutti felici. Mio padre, fremeva al volante del suo macchinone, preoccupato soltanto del mio eventuale, temutissimo, mal dauto: "Ho messo il tappeto impermeabile".
Pronta, la mamma, a rassicurarlo: "Tranquillo: gli ho dato la pillola". Anche lei era contenta.
Tra Santa Marinella e Civitavecchia, allora lAurelia era la via obbligata, Righetto prende a esternare ad alta voce i suoi pensieri: "Certo, lassenza di Fulvio si farà sentire, ma contro Guaita e Scopelli questo Livorno
lo vedo brutto... Ma, dico io, Fulvio doveva proprio andare a tamponare la macchina di Mussolini? Da quel giorno, povero Bernardini, non ha avuto più pace... la polizia, i finanzieri...Comunque".
Nei pressi dellAccademia Navale, tra il mare e lArdenza, arrivammo talmente presto che ancora erano pochi tifosi in giro. Uno di questi, però, fu sollecito a gridarci dietro: "Romani, bucaioli!", che, appresi anni dopo, non è esattamente un complimento. Incassato lepiteto, mio padre disse alla mamma: "A scanso di brutte
sorprese, sai che faccio, Nine?". "No. Dìmmi: che fai?". "Faccio che questa, la macchina, la rimetto in garage. Ne conosco uno alla Venezia, lontano dal campo...". Fece una pausa, accarezzò il cruscotto, col moto di che vuol togliere unombra di polvere, e concluse: "Sai con questa targa, scappa fuori un matto e me la sfregia. Eh, no...eh, no".
Dalla Venezia, cuore della vecchia Livorno allArdenza, stadio che allepoca si chiamava Edda Ciano, non sono proprio due passi. Ci volle il tassì: Righetto non battè ciglio. Solo mia madre, alluscita dalla rimessa, aveva mormorato: "Quel custode, ha una faccia...". Ma era finita lì. Sul campo, quella contro gli amaranto fu una Roma irriconoscibile. Gli argentini, che forse già pensavano alla fuga per tema della chiamata alle armi (mio padre disse: "Sai, Scopelli, è bravo, ma non ha un cuor di leone. Quanto a Guaita...".), non beccarono palla.
Finì 1-1, con un golletto di Tomasi alla fine, che salvò la Lupa dal disonore. Il papà, naturalmente, era nero come la pece. Stanca e sfiduciata mia madre, io tacevo, annichilito, a testa bassa. Pensavo: "E se adesso, in macchina, a stomaco ormai vuoto, mi prende la nausea? Dio mio, chi lo sente?". Invece, di lì a poco, lo dovetti sentire, il genitore. Era sgomento e affranto alla vista della sua bella macchinona, ridotta a rottame. "Ma che è successo, che è successo...", andava gridando il povero Righetto, fulminato in uno dei suoi grandi affetti.
Agitava in aria le mani, senza saper dove riporle, dinanzi a quello spettacolo. Mentre il maresciallo sommariamente, spiegava: "Sa, frange di tifosi sono arrivati fin qui e...capita, sa...che vuol farci? Sì, lei sporga denuncia...eppoi, ha lassicurazione... noi, dal canto nostro, abbiamo dei fermati. Insomma, vedrà...". Quel che mio padre vedeva, che noi tutti, quella triste domenica, vedemmo era un disastro, una catastrofe familiare. Alla stazione, aspettando il treno per il ritorno, mio padre provò a ritrovare la calma,
dicendosi: "Avessimo vinto, almeno". Quel campionato finì di lì a poco, ai primi di giugno, con la Roma al quarto posto. Renato Sacerdoti, per via della campagna anti ebraica già incominciata, si dimise da presidente. Anche per quello, Righetto fu molto triste. Non arrivò a consolarlo neppure la notizia che il Livorno era finito penultimo, in Serie B.