Krieziu e quel pianto sul treno per Napoli

22/03/2010 alle 09:44.

IL ROMANISTA (M. IZZI) - Con Naim Krieziu, nel 1992 ho realizzato la prima intervista della mia vita. Poco più che ventenne, avevo deciso di rintracciare tutti i protagonisti della Roma dei primi venti anni di vita del Club. Krieziu rappresentava la continuità tra la Roma di Campo Testaccio e quella del primo scudetto, per questo, prima di ogni altro, decisi di bussare alla sua porta. Mi presentai a casa sua con un’oscena scatola di cioccolatini, armato di un registratore a cassette e con un problema mica da poco, spiegare chi ero (un signor nessuno) e cosa volevo.

 

In un angolo del salotto, su un comodino in legno c’era una foto del settembre del 1942 che ritraeva la consegna della coppa dello scudetto che era in mano al presidente Bazzini circondato da tutti gli atleti di quella Roma. La foto era assolutamente inedita come tanti dei racconti che quel giorno Krieziu riversò nel mio registratore. Iniziò così, con la sensazione di un privilegio che mi veniva concesso, la conoscenza di un uomo che ho approfondito nel corso degli anni con periodici incontri. La storia d’amore con la Roma non si era mai conclusa, quella professionale era invece finita su un treno diretto verso , quando la Società lo aveva dovuto cedere: «Non mi vergogno a dirlo, su quel treno – mi disse – ho pianto, perché proprio non volevo lasciare la Roma». Ascoltavo quelle parole e capivo quanto grande fosse lo spessore morale di questa generazione di atleti. Krieziu raccontava in un modo fresco e spontaneo con un’immediatezza che mi sorprendeva per l’ironia e l’efficacia. Fino a che rimarrò su questa terra potrò raccontare di aver camminato assieme a lui, ai bordi del perimetro di quello che una volta era Campo Testaccio.

Ad un certo punto si fermò e mi disse: «Da quel lato c’era la tribuna, proprio in quel punto quando debuttai un tifoso mi urlò: “Aho ma se po’ sapè come cavolo te chiami?”. Mi fermai e mi misi a ridere battendogli le mani. Fui sommerso dagli applausi. Non lo scorderò mai». Neanche io lo scorderò mai, camminavo all’ombra del Monte dei Cocci e mi sforzavo di imprimere nella mia memoria i colori, i suoni, il volto di Naim. Nel 2007 accompagnai Krieziu e suo figlio Marco ad incontrare Ennio Morricone. Doveva nascerne un pezzo di dialogo tra un tifoso illustre e il campione della sua giovinezza. Morricone aveva fortemente voluto quell’incontro e sembrava ansioso di venire a patti con quelle che erano le sue memorie di bambino: «Ricordo che lei era di una velocità spaventosa… ma come faceva?». Krieziu rispose con un sorriso: «Facevo i 100 metri in 11’ secondi, ma sa, io venivo dall’atletica leggera». Non aveva mai superato la beffa di essere stato accantonato dalla guida della Roma dopo aver ricevuto formale promessa di restare alla guida della squadra nella stagione 64/65. La parola data per lui era sacra. A maggio del 2009, Marco e Naim Krieziu mi hanno fatto l’ennesimo grande regalo intervenendo alla presentazione del libro che avevo realizzato sullo scudetto del 1942. Un volume che sulla copertina aveva proprio quella foto che nel 1992 avevo ammirato nella mia prima visita.

 

La freccia di Tirana, come ieri ha titolato in maniera perfetta il Romanista, è ora in cielo e io cerco inutilmente un modo efficace per chiudere questo mio racconto. Mi torna in mente allora un trafiletto della Gazzetta dello Sport del luglio del 1942 che documentava l’interessamento dell’Ambrosiana per la giovane ala albanese della Roma. Lui mi disse che di proposte ne erano arrivate molte, ma che aveva sempre risposto allo stesso modo: «Se non disturbo a me piacerebbe restare». Sulla scrivania infinitamente lontana mi osserva una sua immagine scattata il 18 gennaio 1942. Quel giorno, scrisse Bruno Roghi: «Le reti di Krieziu all’Ambrosiana hanno voltato come

uno schiaffo la faccia della partita
». E della storia.