
IL ROMANISTA (C. ZUCCHELLI) - Un ragazzo prende il telefono, larbitro ha appena fischiato la fine. Scrive: «Abbiamo perso, sogno finito». Gli viene fatto notare che la Roma, in realtà, ha pareggiato: «E uguale, anzi peggio. A sto punto gli potevamo regala i tre punti, così la Lazio andava dritta in B». In queste parole cè tutta la tristezza dei tifosi romanisti che ieri hanno invaso lArmando Picchi. E mentre il sole tramonta sul mare, a due passi, e si sentono solo i gabbiani in sottofondo, qualcuno inizia a cantare. Prima piano, poi sempre più forte. Amo solo la mia Roma. Cè chi ha gli occhi lucidi, chi non parla, chi fuma lennesima sigaretta.
la tristezza dei tifosi romanisti che ieri hanno invaso lArmando Picchi. E mentre il sole tramonta sul mare, a due passi, e si sentono solo i gabbiani in sottofondo, qualcuno inizia a cantare. Prima piano, poi sempre più forte. Amo solo la mia Roma. Cè chi ha gli occhi lucidi, chi non parla, chi fuma lennesima sigaretta.
Cè poi chi si attacca al telefono con casa e chi controlla la giocata alla Snai. Nessuno chiede gli altri risultati, anche se si sa che la Lazio ha perso e la Juve si è fatta rifilare tre gol in casa dal Siena. La delusione è troppo forte. Chiamala amarezza, chiamala malinconia, chiamala, come dice qualcuno, consapevolezza: «Se in due partite col Livorno fai un punto, che pretendi?». Di vivere un sogno, forse. Di continuare a crederci. Anche se la mazzata è terribile. Bastava, ieri alle uattro e mezza, vedere i volti dei tifosi della Roma nel settore ospiti. Loro che erano partiti carichi di speranza in mattinata, zaino in spalla, panino e tanta voglia di cantare. «Sembrava dice Davide una trasferta daltri tempi. Pure il risultato lo è: la Roma, storicamente, fallisce queste occasioni».
Altrettanto storicamente, però, i suoi tifosi non la lasciano mai. Loro non perdono o pareggiano, non è mai zero a zero. Quando Lucarelli «come Diamanti, co questi avemo perso du scudetti» ha segnato il terzo gol cè stato
un momento di silenzio. Cinque secondi veri, contati. Poi si è ripreso a cantare. Senza sosta. Ininterrottamente.
Neanche un attimo di respiro. «Daje daje, crediamoci. Facciamogliene un altro». Oppure: «Tutti in avanti, tanto un punto non ce serve a niente». Le bandiere, in quel quarto dora finale, da romanisti veri, hanno continuato a sventolare, le sciarpe pure. Non è servito a niente. E servito a tutti, per far vedere, a chi ancora non lo sapesse, cosa vuol dire amare questa maglia. Verso le sei meno un quarto il settore ospiti inizia a svuotarsi e qualcuno «riattacca il cervello. Fateme pensa spiega Paolo ad alta voce la Juve è rimasta a distanza, abbiamo preso un punto al Palermo e ne abbiamo recuperato uno allInter. Il Napoli ha perso. La Lazio praticamente sta in serie B. Alla fine non è andata poi così male». «E allora gli risponde lamico Luca perché me vié da piange?». Perché, come diceva Pascal, il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.