«E’ stata una trasferta d’altri tempi pure il finale lo è: occasione persa»

15/03/2010 alle 09:46.

IL ROMANISTA (C. ZUCCHELLI) - Un ragazzo prende il telefono, l’arbitro ha appena fischiato la fine. Scrive: «Abbiamo perso, sogno finito». Gli viene fatto notare che la Roma, in realtà, ha pareggiato: «E’ uguale, anzi peggio. A ‘sto punto gli potevamo regala’ i tre punti, così la Lazio andava dritta in B». In queste parole c’è tutta la tristezza dei tifosi romanisti che ieri hanno invaso l’Armando Picchi. E mentre il sole tramonta sul mare, a due passi, e si sentono solo i gabbiani in sottofondo, qualcuno inizia a cantare. Prima piano, poi sempre più forte. “Amo solo la mia Roma”. C’è chi ha gli occhi lucidi, chi non parla, chi fuma l’ennesima sigaretta.

la tristezza dei tifosi romanisti che ieri hanno invaso l’Armando Picchi. E mentre il sole tramonta sul mare, a due passi, e si sentono solo i gabbiani in sottofondo, qualcuno inizia a cantare. Prima piano, poi sempre più forte. “Amo solo la mia Roma”. C’è chi ha gli occhi lucidi, chi non parla, chi fuma l’ennesima sigaretta.

 

C’è poi chi si attacca al telefono con casa e chi controlla la giocata alla Snai. Nessuno chiede gli altri risultati, anche se si sa che la Lazio ha perso e la si è fatta rifilare tre gol in casa dal Siena. La delusione è troppo forte. Chiamala amarezza, chiamala malinconia, chiamala, come dice qualcuno, consapevolezza: «Se in due partite col Livorno fai un punto, che pretendi?». Di vivere un sogno, forse. Di continuare a crederci. Anche se la mazzata è terribile. Bastava, ieri alle uattro e mezza, vedere i volti dei tifosi della Roma nel settore ospiti. Loro che erano partiti carichi di speranza in mattinata, zaino in spalla, panino e tanta voglia di cantare. «Sembrava – dice Davide una trasferta d’altri tempi. Pure il risultato lo è: la Roma, storicamente, fallisce queste occasioni».

Altrettanto storicamente, però, i suoi tifosi non la lasciano mai. Loro non perdono o pareggiano, non è mai zero a zero. Quando Lucarelli «come Diamanti, co questi avemo perso du’ scudetti» ha segnato il terzo gol c’è stato

un momento di silenzio. Cinque secondi veri, contati. Poi si è ripreso a cantare. Senza sosta. Ininterrottamente.

Neanche un attimo di respiro. «Daje daje, crediamoci. Facciamogliene un altro». Oppure: «Tutti in avanti, tanto un punto non ce serve a niente». Le bandiere, in quel quarto d’ora finale, da romanisti veri, hanno continuato a sventolare, le sciarpe pure. Non è servito a niente. E’ servito a tutti, per far vedere, a chi ancora non lo sapesse, cosa vuol dire amare questa maglia. Verso le sei meno un quarto il settore ospiti inizia a svuotarsi e qualcuno «riattacca il cervello. Fateme pensa’ – spiega Paolo ad alta voce – la è rimasta a distanza, abbiamo preso un punto al Palermo e ne abbiamo recuperato uno all’Inter. Il ha perso. La Lazio praticamente sta in serie B. Alla fine non è andata poi così male». «E allora – gli risponde l’amico Luca perché me vié da piange?». Perché, come diceva Pascal, “il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”.