A sede, Mourinho mettete a sede

29/03/2010 alle 10:49.

IL ROMANISTA (M. FUCCILLO) - "Mettete a sede, Mourinho mettete a sede…”. Forse neanche se ne rendeva fino in fondo conto, ma il gioioso e puntuale, mirato e preciso coro dell’Olimpico stava celebrando e cantando la demolizione, può darsi momentanea ma non per questo meno clamorosa, di uno dei dogmi, degli assiomi, degli articoli di fede e ragione che l’industria-calcio e pure la passione tifosa non discutono e in fondo collettivamente accettano: quello per cui chi ha più soldi vince.

“Mettete a sede, Mourihno, mettete a sede…”: il coro come una robusta, gentile e gigantesca mano “abbassava” l’arroganza e la presunzione di un

uomo e di un allenatore stizzito e già pronto alla fuga verso un rancoroso silenzio, lo stesso che, dopo aver per settimane lamentato la fatica di vincere facile lo scudetto causa ostilità degli arbitri, vedeva il suo primato in campionato messo in discussione, in dubbio e in lizza in una partita in cui l’arbitraggio gli aveva regalato un gol in fuorigioco e un rigore contro non visto e non fischiato.

Ma non erano solo il protagonismo ipertrofico, la supponenza un po’ proterva, il vittimismo dei potenti e forti ad essere “ a sedere”, era la legge, sì d’acciaio ma improvvisamente e incredibilmente per nulla ferrea,

del “chi ha i soldi vince” a perdere la posizione eretta, ad essere accomodata su una panca. Come sia successo, perché sia successo nessuno può giurare o azzardare di saperlo. Ma è successo, succede. Anzi era già successo, sia pure su scala minore. La nell’ultima campagna acquisti aveva speso più di cinquanta milioni di euro: i soldi li aveva e hanno finanziato un disastro di risultati. L’Inter di soldi ne ha da “uscirle dagli occhi”. Compra e paga chi vuole, dall’allenatore che incassa un milione di euro al mese a giocatori che in quantità e qualità bastano per tre squadre di serie A. Eppure adesso, a sette partite dalla fine, l’Inter può perdere lo scudetto, quello scudetto che aveva prenotato, che si era “comprata” in anticipo con la

sua evidente, enorme, indiscutibile superiorità di portafoglio.



La Roma di soldi non ne aveva e non ne ha, non sono miracolosamente fioriti nel giardino di casa durante i 21 risultati positivi in campo. La Roma è stata assemblata di conseguenza con un allenatore, Ranieri, “scartato” dalla , con un centravanti, Toni, in prestito, “scartato” dal Bayern, con un difensore centrale, Burdisso, prestato e “scartato” dall’Inter. Che si andavano ad aggiungere ad uno dei pochi registi veri e forti del campionato italiano, quel Pizarro che, era appena l’altro ieri, la stessa piazza romanista considerava inferiore ad Aquilani e che l’altrettanto miope mercato quotava nella “Borsa calcistica” meno di quanto non valutava il ragazzo venduto al Liverpool. E a un giocatore, uno dei migliori centrali difensivi al mondo, che il mercato degli umori e anche delle valutazioni dei procuratori volevano solo tre mesi fa “cedibile”, anzi da cedere. E a un , Julio Sergio, che sul mercato non valeva proprio nulla. E a un ragazzo, Menez, che i consulenti dell’economia calcistica volevano fosse business solo se lo si mollava in prestito a qualcuno. Bene, questa banda di “affari perduti”, insieme ai “vecchi” , Cassetti, Perrotta, Brighi, Riise, , Vucinic… questa squadra senza soldi può vincere lo scudetto.

“Mettete a sede. Mourihno, mettete a sede…”: tre pali per loro, la buona sorte con noi: una “giustizia del riequilibrio” amministrata dal Caso non tanto per caso? Un gol fasullo per loro, un rigore negato per noi, un’espulsione mancata per loro: il casuale errore arbitrale tre volte tre con loro. E invece con noi la sceneggiatura intera della partita, sceneggiatura scritta con la forza della volontà e della bravura in campo: l’errore di Julio Cesar, errore che sarebbe scivolato via innocuo senza la immensa voglia di di arrivare su quella palla, la voglia matta e tosta di Toni di girarsi e girare in rete, la voglia di Menez di spegnere Zanetti, la voglia saggia e monumentale di Pizarro di essere il migliore. La voglia di Ranieri di essere serenamente coraggioso con la formazione iniziale, con la disposizione in campo, con i cambi. Di fronte a questa voglia moltiplicata per tanti giallorossi quanti c’erano ed entravano in campo, la “squadra con i soldi” si innervosiva fin quasi a diventare isterica. Erano come dei signori con un conto illimitato in banca che increduli scoprono che c’è qualcosa che non si può comprare. 

“Mettete a sede, Mourinho, mettete a sede…”: inchiodato e compresso sulla panca dalla forza tranquilla di una squadra che celebra e pratica con orgoglio l’eresia di competere e forse vincere anche senza soldi. La partita dell’anno vinta, dominata, governata dai “bravi senza soldi”: una gran bella pagina scritta nel libro romanista, una bella lettera di auguri, speranza e conforto spedita a tutto il calcio.