Sacchi: "Roma, si può"

23/02/2010 alle 09:49.

IL MESSAGGERO (U. TRANI) - «L’Inter resta la favorita, Champions permettendo; la vera rivale è la Roma, perché come valori è quella che più si avvicina ai campioni d’Italia; il Milan, se il ritmo di qui alla fine si abbassa, può avere la meglio attraverso la qualità dei singoli». La corsa scudetto vista dagli occhi sempre lucidamente attenti di Arrigo Sacchi che analizza il momento delle tre rivali a tredici giornate dalla conclusione del campionato. L’approfondimento dell’ex cittì azzurro, oggi consulente della preparazione olimpica del Coni, non è solo di carattere tattico, ma globale. Tanti i fattori a incidere nella volata finale: testa e gambe, ambiente e singoli.

La corsa scudetto vista dagli occhi sempre lucidamente attenti di Arrigo Sacchi che analizza il momento delle tre rivali a tredici giornate dalla conclusione del campionato. L’approfondimento dell’ex ì azzurro, oggi consulente della preparazione olimpica del Coni, non è solo di carattere tattico, ma globale. Tanti i fattori a incidere nella volata finale: testa e gambe, ambiente e singoli.

 

Sacchi, partiamo dalla capolista. Perché tanto nervosismo?

«E’ l’appunto da fare a una grande. La calma, in genere, è dei forti. Invece l’Inter ha una sindrome di accerchiamento che di solito appartiene a chi si piazza secondo o terzo, ancora più strana per chi ha avuto uno scudetto a tavolino».

 

Che cosa le resta della gara di sabato sera tra i nerazzurri e la Sampdoria?

«L’isterismo e l’arroganza per un arbitro che ha fatto sperare a tutta l’Italia di come le regole sono uguali per tutti. Tagliavento ha interpretato correttamente ogni situazione. Senza rifugiarsi nella compensazione quando Eto’o, leggermente sfiorato, è caduto in area».

 

Mourinho è stato squalificato per tre giornate.

«Mi dispiace, ma andiamo avanti. Come tecnico, però, merita solo complimenti. Grazie a lui l’Inter è una grandissima squadra, a volte spettacolare perché ora non si affida più solo alla qualità dei giocatori. E’ un collettivo di valore internazionale».

 

In campionato, però, l’Inter è al terzo pareggio di fila e nelle ultime due gare non è riuscita a segnare nemmeno un gol. Come può essere, con tanti campioni in attacco?

«Solo a , e nella prima mezz’ora, ha sofferto. E ci può stare. Con la Sampdoria erano in nove e non ha mai fatto tirare in porta gli avversari. E’ troppo superiore agli altri e sta gestendo il vantaggio. Ma, attenzione: la porta via punti».

 

Cioè?

«Vediamo che cosa succede in coppa. I contraccolpi possono essere devastanti in caso di eliminazione. E le sfide sono sempre contro grandi club: , Chelsea e, se vanno avanti, altre ancora. La non è l’Europa League. Lo spiegai a Prandelli quando con il Parma faceva la Coppa Uefa. Ora mi ha chiamato per dirmi che è proprio così».

 

La Roma, nelle ultime 6 giornate, ha ridotto lo svantaggio di 8 punti. Si aspettava la rimonta dei giallorossi?

«Sì, ma li vedevo competitivi già all’inizio. la sorpresa, per me, è stata la brutta partenza. Per i valori tecnici sono i più vicini ai nerazzurri. Il problema è la à fantastica che ti trasmette amore e calore anche in modo eccessivo. E, allo stesso modo, frustrazione quando le cose non vanno. Ti distrae la gente, il clima, tutto. Solo grandi professionisti possono a vincere. Fondamentali sono le motivazioni: hanno l’effetto della benzina. Da lì è partito Ranieri».

 

Quale pensa che sia il segreto della Roma?

«E’ moderna per come si difende, tra le pochissime in Italia. Non è più quella spettacolare di Spalletti. Ma prima, dietro, era antica. Difendeva molto male. Ora ha undici giocatori in posizione attiva, si muovono insieme. Non si allunga mai. Ha equilibrio».

 

Solo merito dell’allenatore?

«No. I giocatori sono stati bravissimi. Quando c’è da risalire, uno su mille ce la fa. Hanno fatto punti pure se la loro luce, , si accende a intermittenza. è cresciuto, Burdisso stimola gli altri, Juan è importantissimo, Riise ora sta nel meccanismo, Pizarro è piccolo grande campione, Vucinic, nonostante gli alti e bassi, decisivo».

 

Insomma, la Roma deve crederci o no?

«Certo. Può e deve far bene. Sennò è colpevole...».

 

Quale può essere il limite dei giallorossi?

«Torno al discorso di prima. Con un esempio: per me è stato più difficile allenare a Rimini che a Parma. Perché a marzo, a Rimini, i giocatori erano già in vacanza e andavano al mare. Ecco, in questo senso, Roma è à che può deconcentrarti sul più bello».

 

E il ruolo del Milan?

«Leonardo sta compiendo il suo capolavoro. Perché questa squadra è nata da mille pianificazioni diverse. Ed è vecchia. Prendete le tre sostituzioni nella gara con il Manchester: Inzaghi, Favalli e Seedorf, in tutto più di cento anni. Cento e otto. In più ha dovuto affrontare le situazioni delicate di Dida, Ronaldinho e Nesta, giocatori sui quali non aveva la certezza di poter contare, e ha visto partire il miglior calciatore, Kakà. Nell’intervallo di Milan-Roma, ottava di campionato, mi chiesero se i rossoneri si sarebbero salvati. Da quel giorno si sono ripresi».

 

Che cosa manca al Milan?

«Non riesce a interpretare un calcio moderno, totale. Lo ha fatto solo contro il . Devono lavorare tutti insieme. Ma se in campo hai Ronaldinho, Seedorf e Pato, questo è più difficile. I rossoneri soffrono il ritmo quando si alza, gli avversari più compatti e quelli che li aggrediscono. Ho visto i due derby: senza storia».

 

Quale strada deve fare per essere primo al traguardo?

«Se gli altri vanno a tre cilindri, viene fuori il Milan, grazie alle qualità dei singoli. Eppoi...».

 

Voleva aggiungere altro?

«Che Berlusconi non fa mai niente per caso. Quando percepisce che c’è qualcosa che non funziona va all’attacco. Il suo intervento della settimana scorsa sembrava inopportuno e invece ha determinato la reazione immediata di Bari».

 

Una curiosità: chi è l’uomo scudetto?

«Milito. Lo avevo indicato all’amico Guardiola prima che scegliesse Ibrahimovic. Lo svedese suona una musica sua e non quella dell’orchestra, è forte con i deboli e debole con i forti. L’argentino, invece, è fantastico: non è calciatore ma giocatore. Sa sempre che cosa fare: se difendere palla, andare in profondità o venire incontro, colpire di tacco o di punta. E’ il top».