Mister Mou, non siete i padroni

23/02/2010 alle 09:36.

IL ROMANISTA (M. FUCCILLO) - Sabato sera in tv ho assistito ad un quasi riuscito tentativo di linciaggio. No, non quello del buon gusto, della buona musica e della decenza nazional popolare messo in atto a Sanremo da chi votava “Avanti Savoia”. Parlo dell’altro linciaggio, quello provato su altri canali tv e su un altro palco, quello di San Siro. L’uomo da linciare era l’arbitro, un arbitro in carne e ossa, nome e cognome. Ma soprattutto da impiccare all’albero era, secondo gusto e voglia criminal popolari, l’idea stessa di un arbitro vero.

 

Ho assistito dunque alla folla che gridava: impiccatelo. Metaforicamente ma neanche tanto. Folla relativamente incolpevole, comunque meritevole dell’attenuante di sopravvenuta incapacità di intendere e di volere. Si può chiedere ad una folla tifosa di vedere e valutare che l’arbitro espelle due della tua squadra, uno perché ferma con il gomito piantato sulla faccia dell’avversario la sua corsa verso la rete con la palla al piede e l’altro perché, già ammonito, alza da terra fallosamente un altro avversario? Si potrebbe, si dovrebbe chiedere. Ma non in questo mondo. Dunque non chiediamo alla folla interista di vedere che i due sbattuti fuori l’Inter se li era voluti e meritati. Evangelicamente perdoniamo quella folla, e tutte le folle tifose che fanno altrettanto, perché letteralmente non sanno quello che fanno.

 

Ma l’istigatore, l’uomo con il cappio in mano, il mister Lynch dei campi di calcio, lui sì che sa quello che fa. Ho visto Mourinho eccitare la folla, chiamarla al linciaggio, l’ho visto chiedere alla telecamera corda e sapone. Ho visto un violento della razza peggiore, uno sceriffo di quelli che ti fermano per infrazione stradale, poi si divertono a pestarti in cella e, se fiati, chiamano le comari e i bulli di quartiere a farti a pezzi gridando che hai molestato una bambina.

Uno così, uno come Mourinho, non lo voglio, non vorrei vederlo. E non perché è l’allenatore rivale, l’allenatore degli altri, l’allenatore dell’Inter. Uno così, un provocatore prepotente e insolente, non lo vorrei e non lo voglio neanche se fosse il “mister” dei miei. E mentre lo scrivo so che non certo tutti saranno d’accordo, che qualcuno battezzerebbe “grinta” e “carattere” quella violenza se fosse vestita con i colori di casa. E, mentre vedevo, sentivo anche la “sudditanza psicologica”. Non dell’arbitro, ma dalla tv, delle sue voci. In questo caso delle voci di Sky. Incredule, sorprese, sgomente e neanche sotto traccia infastidite dal fatto che l’arbitro in campo applicasse

il regolamento, le regole del gioco. Chiamavano fiscalità ed esagerazione il rispetto imposto delle regole. Soprattutto si stupivano del fatto che l’arbitro osasse tanto: farle rispettare fino in fondo anche ai più forti. Era questo lo “scandalo” di cui non si capacitavano. I cronisti e i giocatori dell’Inter in campo. Nei loro atteggiamenti e nella loro testa, starei per dire nella loro “morale”, c’era evidente l’idea che, se uno è più forte, questo vuol dire

che è il padrone. Gli undici poi diventati nove volevano fosse riconosciuta e sancita la loro condizione di “padroni” in virtù della conclamata maggior forza. Ed era per loro intollerabile che l’arbitro sancisse che non c’erano padroni

e che fossero alla pari con gli altri a fronte delle regole di un gioco.

L’Inter l’altra sera in tv era quello Stankovic che gridava “Pezzo di merda” a Palombo che mostrava la gamba

ferita e insanguinata dai tacchetti di Milito. E tutto il palco di San Siro era un festival dove tribuna e platea, telecronaca e concorrenti in nerazzurro aspettavano il crollo psicologico, il cedimento, la resa dell’arbitro. Non arrivava, non è arrivata e per questo cresceva la voglia di linciaggio. Ho visto dunque perché in Italia è tanto difficile avere un arbitro, di calcio ma non solo, che faccia secondo coscienza e intelletto il suo mestiere. E’ difficile perché un arbitro così non lo vogliamo, anzi lo vogliamo linciare. Sabato sera a fare così erano gli interisti,

domani sarà qualcun altro. Se questa è l’Inter, se questa è la sua cultura calcistica, fa ancor più piacere darle fastidio, turbarla. Vincendo con il Catania la Roma è arrivata a cinque punti di distanza. Resto convinto che la differenza di forza calcistica tra le due squadre sia superiore. Però che sia la Roma a graffiare la sicumera padronale dell’Inter è non solo “partigiana” buona notizia, è anche una piccola operazione di igiene comportamentale. E, siccome, le soddisfazioni talvolta la titano, ma quando muovono arrivano in coppia, non è senza suppletivo piacere non solo di classifica battere i catanesi, espressione anche loro di una consolidata protervia comportamentale, sia pure su scala minore.

 

Mi sono messo a guardare Roma-Catania con una certa ansia. Correva in à l’idea che ad Atene si fosse spezzato, rotto qualcosa, fosse anche solo l’incanto di una squadra che non perde più per incanto. Alla notizia che Pizarro non c’era l’ansia è cresciuta, si è sommata al dubbio che fosse finito il ciclo dei risultati e della buona sorte anche se non certo quello della determinazione e impegno. E invece tutto continua, nulla si è rotto o spezzato. La Roma continua a vincere, non c’è notizia. E questa sì che è una bella e tosta breaking news.