
LA REPUBBLICA - Fu la Juventus a riportarlo su una panchina di alto livello, nell´estate del 2007, ed è stata la Juventus a riportarlo a casa all´inizio di settembre: battendo la Roma, spinse Spalletti alle dimissioni e spalancò la porta al ritorno di Claudio Ranieri, romano, romanista, innamorato e, vedremo domani, se anche vendicativo. «Adesso sono a casa e sono felice di pensare alle cose di casa mia», dice nella settimana in cui la sua storia si intreccia di nuovo con quella della Juve ma nella quale potrà essere lui, stavolta, a decidere del destino di qualcun altro, magari contribuendo al licenziamento di Ferrara, imprigionato in un´eredità che non sta dimostrando di meritare. Oppure più semplicemente, e meno cinicamente, tormentando i rimorsi di chi sta cominciando a rimpiangerlo o magari alimentando i sensi di colpa di chi gli ha dato il benservito.
Ecco, questo dovrebbe piacergli. E gli piacerà, forse, specchiarsi nel sorriso imbarazzato (pentito?) di Blanc o scommettere se Ferrara lo guarderà in faccia, quando gli stringerà (per dovere) la mano prima e dopo la partita. Il mondo si è capovolto, si direbbe. Oppure no, se Ranieri si è soltanto portato dietro la sua bravura e l´ha trasferita da Torino a Roma dove, con una squadra oggettivamente più povera (che sia davvero anche più debole, è un altro discorso), ha fatto bene il suo mestiere di bravo allenatore, collezionando, in appena diciotto partite, otto punti in più della sua vecchia squadra, del suo giovane collega: domenica scorsa l´ha sorpassato e ora potrebbe dargli il colpo di grazia, anche se teme un colpo di coda.
Roma è euforica. I tifosi preparano l´esodo e quando le cose funzionano si sa che la romanità non trova argini al suo entusiasmo. I biglietti per la partita di dopodomani sono finiti in un giorno, molti partiranno lo stesso per il Nord perché tanto un posto nell´Olimpico torinese lo si troverà: non è prevista la corsa al botteghino da parte degli juventini. Ranieri sta faticosamente cercando di tenere sotto controllo queste fiammate, pur mantenendo la ace accesa: all´interno della squadra ci sta riuscendo, Roma è ancora un po´ troppo grande per lui e non può girare cortile per cortile a predicare quel basso profilo che ha imparato negli anni, con gli studi e le esperienze, con i successi e le amarezze. Da romanista si è veramente scatenato una volta soltanto, correndo sotto la curva dopo il derby (ma, da romanista, disse di no a Lotito, l´estate scorsa).
Da ex juventino, ha spedito frecciatine velenose ma il pentolone della sua rabbia non l´ha mai veramente scoperchiato: «Quello che dovevo dire, l´ho detto a chi di dovere. E prima che venissi mandato via». Con lui hanno fatto in fretta, d´altronde: era arrivato come seconda scelta (la prima era Lippi, toh) e quello è sempre rimasto agli occhi dei suoi dirigenti, dei suoi giocatori, dei suoi tifosi nonostante due anni di lavoro eccellente: confrontate la sua Juve con questa e capirete quanto ha dato alla causa. Molti di coloro che lo svillaneggiavano ora sono pronti a scappellarsi di fronte a lui, che pe ò non ha tutta quest´ansia di inseguire vendette spicciole con gli uomini che lo hanno lentamente allontanato dalla Juve e che invece proteggono Ferrara. Quelli che adesso hanno il potere, in sede e al campo. Bettega escluso, naturalmente.
Ed escluso anche Lippi, massì: se è stato il fantasma del cittì a sfilargli la panchina da sotto il sedere, a lui non sarebbe dispiaciuto collaborare con il Marcello in carne e ossa, pur di avere un interlocutore competente con cui confrontarsi. Ma forse sapeva anche che sarebbe stato impossibile entrare nel clan dei lippiani: per trovare un posto, più che la bravura serve la fedeltà. Stasera la Roma atterrerà a Torino, città in cui Ranieri non è più tornato e con la quale ha tagliato i ponti. Poi lui e la squadra andranno in albergo che, per uno scherzo del destino, sta a un centinaio di metri da quello in cui dorme la Juventus. Li dividono due larghi marciapiedi e una strada a doppia carreggiata: nessuno la attraverserà.