Non più imbucati al gran party del calcio. Ma ospiti d'onore a pieno titolo

25/01/2010 alle 09:10.

IL ROMANISTA (M. FUCCILLO) - Adesso è anche questione di stile. Ce lo possiamo, ce lo dobbiamo permettere: lo stile è ora un lusso alla nostra portata. La Roma è tornata, è arrivata. Si è seduta e accomodata, con merito e diritto, al piano nobile del campionato e del calcio italiano. Quindi indossare l’abito buono è insieme un piacere e un dovere: “obbligo di nobiltà”. Stile della squadra, dell’ambiente, del tifo. Stile nei pensieri, negli umori, nei sentimenti e nelle parole. Ce la possiamo fare, ce la dobbiamo fare. A scrollarci di dosso la polvere tenace e tignosa di accarezzati e ormai familiari complessi di inferiorità. Al posto dell’eterno sospetto sugli arbitri possiamo coltivare un fondato sospetto di superiorità, quello A di cui si nutrono le squadre forti, tanto forti da poter raddrizzare un errore arbitrale quando c’è. Basta dunque con il piagnucoloso scrutare in settimana la designazione per la domenica. E’ un tipo di lacrima che non ha mai fruttato nessuna benevolenza, semmai il contrario.

Stile della squadra, dell’ambiente, del tifo. Stile nei pensieri, negli umori, nei sentimenti e nelle parole. Ce la possiamo fare, ce la dobbiamo fare. A scrollarci di dosso la polvere tenace e tignosa di accarezzati e ormai familiari complessi di inferiorità. Al posto dell’eterno sospetto sugli arbitri possiamo coltivare un fondato sospetto di superiorità, quello A di cui si nutrono le squadre forti, tanto forti da poter raddrizzare un errore arbitrale quando c’è. Basta dunque con il piagnucoloso scrutare in settimana la designazione per la domenica. E’ un tipo di lacrima che non ha mai fruttato nessuna benevolenza, semmai il contrario.

E comunque non è nei connotati di stile di una squadra che regolarmente abita lassù. Al contrario, è stile, abitudine, automatico riflesso provinciale e minoritario. Lo dico per primo a me stesso: mi sono seduto a veder -Roma temendo l’arbitro, mi sono sorpreso a sorprendermi che l’arbitro ci desse il rigore (rigore che c’era, regalato da Grosso), ho temuto per un micro secondo che l’arbitro non espellesse Buffon.

Basta e non solo per merito di un Tagliavento di sera. Basta, perchè al gran party del calcio italiano la Roma non è una “imbucata”, è ospite d’onore e il tifo romanista non ha bisogno di pigolare con questuanti litanie. Adesso è anche questione di soldi. Questione che possiamo affrontare con in tasca il lusso di ragionare, i risultati in campo della squadra questo lusso ce lo consentono. Soldi da spendere, anzi investire. Con la concreta prospettiva della il prossimo anno la società che gestisce la squadra ha l’opportunità e la possibilità di fare scelte “aziendali”. Aziendali, proprio aziendali, non di teatro o di piazza. Può pensare a come spendere un po’ di soldi nel 2010. Non una barca di soldi che non ha e spesso non serve: la , questa , di soldi quest’anno ne ha spesi 60 milioni a riprova, se ce ne fosse bisogno, che i soldi li puoi anche buttare e che “comprare, comprare e comprare” è una strategia ottima solo e soprattutto per le chiacchiere al bar.

Spendere un po’ di soldi per gli “esterni bassi”, trovando un secondo a Riise e un’alternativa a Cassetti. Spendere un po’ di soldi per diminuire la distanza di qualità tra i titolari e la panchina. Si può, senza isterismi e frenesie e senza sballare i conti. Adesso è anche questione di serenità, anche questa ce la possiamo finalmente permettere e regalare. Si può, si deve controllare, monitorare ogni mossa o intenzione della società. Ma quando si vince così tanto e così a lungo, si vince tutti, la vittoria è collettiva. Dei giocatori, dell’allenatore, dei dirigenti, della proprietà.

Ed è finalmente all’ordine del giorno la questione del cambio di umore collettivo. Era da tempo che non mi preparavo a vedere una partita con la partecipazione, insieme gioiosa e trepidante, con cui ho aspettato -Roma. Venivo come tutti da mesi in cui ci siamo divisi e reciprocamente amareggiati a rinfacciarci l’un l’altro questo o quell’altro giocatore, questo o quel dirigente. Con ottime ragioni ci siamo però tutti avvitati e trascinati in una depressione tifosa che era arrivata ad essere una sorta di “smog” nel cielo del calcio cittadino. Bene, ora c’è il sole, via le “mascherine” e le “targhe alterne” del tifo. Stare con questa squadra è finalmente divertente, approfittiamone e scambiamoci reciprocamente buon umore.

Ed è ancora, quasi due giorni dopo, questione di gusto. Il gusto dolce di vedere Amauri improponibile come concorrente di Toni per i Mondiali. Se c’è un concorrente è Borriello, ma questo è altro discorso. Il gusto di veder Buffon tra il rassegnato e il disperato. Il gusto di tener botta nella metà brutta e mal giocata della partita e il gusto di rimontare e vincere nella metà della partita bella a vedersi. Il gusto di partecipare alla rivincita di Ranieri, il gusto di scaldarsi lentamente ma inesorabilmente al caldo crescente del risultato allo stesso ritmo in cui si scaldavano i muscoli di . Il gusto di vedere Pizarro che oggi di Diego ne vale almeno due. Il gusto di avere in Juan la reincarnazione, versione aggiornata, di Aldair. Il gusto di aver steso la , perché c’è un gran gusto a poter dire con legittima perfidia che il nostro problema in classifica oggi e anche domani può chiamarsi forse o magari anche Palermo e tanti sentiti saluti alla … Il gusto dolce di sentirsi relativamente sicuri, unito al gusto supremo di poter dire: “La , la chi…?”.