Ma chi è davvero il giovane Geremia?

29/01/2010 alle 10:49.

IL ROMANISTA (DI PIAZZA) - Ma che cos’ha Geremia Menez? Perché non è felice? Quali angosce lo attanagliano? Cosa possiamo fare noi per migliorare la sua condizione umana e calcistica? Gli interrogativi fioccano. Lo guardiamo caracollare in campo, giochicchiare con la palla, subire l’urto degli avversari e l’urlo di Ranieri, e tutto questo un po’ ci dispiace. Personalmente vorrei che Geremia divenisse quel campione che dovrebbe essere.

Personalmente vorrei che Geremia divenisse quel campione che dovrebbe essere. Vorrei che la sua vita aderisse alla sua immagine, che la sua ombra si riavvicinasse alla sua figura. In due parole vorrei che la smettesse di fare quel che fa. Cioè niente.

La questione infatti si riduce a questo, alla sua strepitosa, letteraria inazione. Il ragazzo, a diciott’anni, mandava in estasi intere tifoserie francesi, faceva triplette, dribblava, danzava. Non esultava un granché, però pazienza. Poi arrivò a Roma, in cambio di dodici milioni euro, mica bruscolini. Un giovane talento, una promessa vera. Una promessa da sogno, a giudicare dal suo modo di carezzare la palla, quasi voglia coccolarla, metterla a nanna. La verità che a nanna c’è andato lui. Non so quanti di voi abbiano visto “Il mistero dello scorpione di giada”, deliziosa opera matura di Woody Allen. Il protagonista cadeva in trance ogni qual volta riceveva una particolare telefonata. Anche a Geremia dev’essere squillato il telefono. Il suo stato, spesso, è infatti più vicino alla trance, non quella agonistica, intendo quella vera, quella delle medium.

Poi però mi ricordo delle meraviglie di San Siro, del giorno magico di Milan-Roma 2-3: un Geremia devastante. Freddo, lievemente malinconico, ma devastante. Così mi dico: chi è davvero Menez? E’ lo svogliato ragazzetto che non sente agonismo dentro e intorno a sé? Oppure è un campione in cattività, prigioniero di un corpo annoiato? Mi piacerebbe avere risposte dallo stesso Geremia. Non vorrei un giorno pensare a lui come al rimpianto del mai accaduto, al gesto mai fatto, all’occasione perduta. Certo, il suo nome contiene la sottrazione: Menez. Promette di togliere più che di dare. Ma noi non dobbiamo credere ai nomi, per il semplice motivo che non c’è destino nelle parole. Non c’è e non ci può essere: altrimenti come avrebbe fatto uno come Alberto Tomba? Detto questo, il ragazzo farebbe bene a uscire dallo stato di trance. Non vorrei che, continuando così, qualche scalmanato lo incontri per strada e lo Menez.