La prima volta di Luca boom-boom

18/01/2010 alle 08:59.

IL ROMANISTA (S. PETRUCCI) - Un piattone destro pesante come la pala di un trattore, poi una martellata di testa bélle époque. Boom-boom e via, con due colpi dei suoi, sempre imbeccato dal morbido destro di Vucnic, Toni-Tor ha spianato il fragilissimo muro del Genoa, già sbrecciato dallo spietato blitz di Perrotta, infiammando l’Olimpico che lo ha battezzato suo nuovo idolo alla prima sportellata. Ci sono tante cose dentro questo 3-0 che, a sei giorni dalla sfida-spareggio da consumare nella tana della Juve, conferma il diritto della Roma a inquadrare nel mirino il podio del campionato: la sontuosità di Juan, leader felpato di una difesa via via trasformata da Ranieri in un bunker; l’inarrivabile senso geometrico di Pizarro, il regista mai visto dai tempi di Falcao; l’imbarazzante duttilità di Perrotta, formidabile da esterno mancino..

Ma c’è, soprattutto, la spaventosa fisicità di Luca Toni, la sua prima acclamatissima doppietta con la maglia giallorossa, la sua voglia disseppellita con rabbia dall’anonimato sofferto negli ultimi mesi, la sua efficacia nel mettere al servizio della squadra risorse mai conosciute. Ci avrebbero probabilmente presi per matti, tre mesi fa, se avessimo ipotizzato di poter spianare il , fosse pure nella catastrofica versione esterna (sette sconfitte), senza l’apporto contemporaneo di e . Se ci siamo riusciti, il merito va soprattutto alla qualità del collettivo rilanciato dal formidabile lavoro di Ranieri, ma anche alle soluzioni del tutto nuove che un centravanti di quella stazza ci regala. “Avevamo bisogno di un giocatore così forte”, l’epitaffio di un Ranieri giustamente convinto di aver trovato la testa d’ariete ideale. Perché Toni, il Toni fisicamente restaurato dopo i recenti ozi bavaresi, forte lo è davvero.

Nel senso della muscolarità pura, prima ancora che della tecnica, che del resto è sempre stata quello che è, anche tre anni fa, nella stagione della Scarpa d’oro. Spallate, sbracciate, ancate, ginocchiate, culate, panzate. Una capacità mostruosa di difendere il pallone, di smistarlo, di giocarlo di sponda. E di scaraventarlo in gol per due volte, come è successo ieri, dopo aver fallito due occasioni persino più facili. Non c’è goffaggine, non c’è ruvidità, non c’è carenza nei fondamentali che tenga. Toni-Tor, 201 gol in ogni categoria, è lontano anni-luce dall’eleganza del cigno-Van Basten e anche dalla tecnica di un Ibrahimovic, di un Drogba, di un Fernando Torres. E’ anche avanti con gli anni, ahinoi, al pari del capitano che lo ha voluto accanto a sé, per inseguire insieme l’obiettivo-Sudafrica.

Ma tenere a bada i novantotto chili per centonovantasei centimetri del Grande Inciampicone deve essere una sofferenza indicibile. Se sta bene, e qui a Roma atleticamente pare davvero rinato, marcarlo è un’impresa. Non a caso Dainelli, suo compagno a Firenze, forse cercato in questi giorni da Gasperini proprio per provare a porre rimedio al nuovo tsunami giallorosso, ha finito per rompersi, nel tentativo di arginarlo. Viste la condizioni dell’Inciampicone, e la formidabile intesa mostrata ieri con Vucinic (sempre molliccio sotto rete, ma delizioso nel produrre assist), ci incuriosisce non poco la prospettiva di seguirlo accanto al nostro miglior giocatore di sempre, che ieri ha dovuto accontentarsi di studiarlo dalla tribuna.

La coppia -Toni, che impegnerà peraltro Ranieri, con ogni probabilità già sabato sera a Torino, in un affascinante rimpasto tattico, stimola la fantasia del tifoso quanto quella di Lippi e, come registrato all’Olimpico a fuochi spenti, anche del gongolante presidente Rosella  Sensi. “Non vedo l’ora di vederli giocare insieme”, il legittimo auspicio espresso ieri dalla first lady romanista,  amorevolmente circondata dai consueti plauditores da tribuna d’onore. Giusto godersi i frutti di una brillante operazione di mercato, di una mossa da instant team che può portare realisticamente la Roma a competere per il terzo, più che per il quarto posto; altrettanto chiedersi quali obiettivi di assoluto vertice avrebbe potuto inseguire questa squadra, se in estate o magari in queste settimane di gennaio, fosse stato possibile integrarla non solo con i prestiti, con i parametri zero e con le graziose concessioni dell’amico Moratti.

A cosa potrebbe puntare la Roma se, ad esempio, Pradé oggi avesse a disposizione i 20 e passa milioni di euro che Corvino sta investendo sul mercato? Inutile chiederselo, al pari dei tanti non plauditores (leggi: tifosi veri) che  vorrebbero godersi questo momento con qualche certezza in più per il futuro. Consoliamoci con la striscia dei risultati positivi della Beneamata, che ora si è allungata a quattordici: dal 1° novembre a ieri, nel carniere sette vittorie e tre pareggi in dieci turni di campionato, più tre vittorie in Europa League e una in coppa Italia. Quello che maggiormente sorprende, nella marcia della Roma, è l’equilibrio assoluto ritrovato partita dopo partita.

Emblematico il rendimento della difesa: solo due gol subiti – i due di Cagliari, maledizione – nelle ultime sei gare. La squadra di Ranieri va in gol con tutto l’organico (33 reti, hanno fatto meglio solo Inter e Milan), ora ha trovato anche il terminale difensivo di fisico che cercava da anni, ma soprattutto non subisce più come accadeva a inizio stagione e anche nei momenti più felici dell’éra-Spalletti: in due mesi e mezzo, nessun avversario è riuscito a segnarle più di una rete. Tranne appunto i rossoblu di Allegri, capaci di rimontare nel recupero un match ormai finito. Con quei due punti in tasca, la Roma sarebbe già nettamente terza, a quota 37, nella scia di Milan (40) e Inter (46). Vorrà dire che andrà a cercarli altrove, magari proprio a

cominciare da sabato a Torino.

Rullando il senza pietà, Ranieri ha non solo avviato il girone di ritorno rovesciando di netto lo sfortunato 2-3 dell’andata, quando la Roma non era ancora nei suoi pensieri. Ha anche confermato l’assoluto controllo sulle forze a disposizione, imponendo a , e a , un altro turno di riposo, senza che il gruppo ne venisse a soffrire: evidente la sua volontà di preservare i due assi, valorizzando e rispettando il resto dell’organico, quanto di preparare al meglio l’attesa vendetta ai danni della , che a maggio del 2008 lo trattò come una scarpa vecchia, se non peggio.

Conduzione tecnica (e psicologica) assolutamente impeccabile, la sua, in questo soggiorno romano. Peccato solo, a cercare il pelo nell’uovo, quell’inutile manciata di secondi di (mancata) passerella concessa, anzi imposta ieri a Menez e soprattutto a Baptista, ormai con le valigie pronte per Milano: perché non farli entrare qualche minuto prima, anticipando la standing ovation per il duo Toni-Vucinic?