
IL MESSAGGERO - Difficile inquadrare Claudio Ranieri come debuttante. Uno con la sua carriera che non è solo italiana. Il derby è partita che conosce. Madrid, Londra e anche Torino. Questo qui, però, no. E il suo e lo scopre a 58 anni. Il passato romanista è lontano. Poche esperienze allOlimpico anche da tifoso, in campo solo da giovane giallorosso. Stanotte, sotto la collina di Monte Mario e i riflettori dellOlimpico con sessantamila anime, lEvento non ha niente a che vedere con gli altri da lui vissuti in precedenza. In altri paesi, in altre città.
Può immaginarselo, pensando a come sarà in tribuna e in partita. Si emozionerà «con linno in sottofondo» e quindi solo quando sarà allinterno di una cornice mai vista. Eppure è di San Saba, con Testaccio nella vita. Ottantanni di storia di queste sfide non lo sfiorano. Per ora. Ma il peso lo sente perché sa quanto vale. Quanto può incidere il risultato, verso la zona Champions e non solo. «Anche vincendolo, però, non sarà mai la gara della svolta per noi: il percorso è lungo», dirà dopo lallenamento della vigilia. Lo fa per non buttare addosso alla squadra e anche a se stesso, la responsabilità più grande che ci sia. Ma la sua voce, nella seduta mattutina, rimbomba nella valle di Trigoria.
La pressione non la scarica sui giocatori che poi passeranno il pomeriggio in famiglia. A loro, la chiede. Come spirito. Solo così si affronta la Lazio. Urla ai singoli e non solo nei contrasti: «Metteteci il fisico». Indica il rivale, da azzannare. Suggerimenti che coprono pure i cori di una cinquantina di tifosi che stanno su un muretto a spingere con il cuore la Roma. Ci vuole un altoparlante per fare meglio di Ranieri. Quello dello stereo di unauto che davanti al centro sportivo carica i giocatori con lHaka. E la danza maori degli All Blacks, della nazionale neozelandese di rugby. A Totti, Perrotta e De Rossi ricorda il mondiale 2006: negli spogliatoi, prima delle gare in Germania, il rito è andato avanti sino alla finale di Berlino.
Ranieri non cambia. E lo stesso del primo giorno a Trigoria. Oggi ha anche la rosa al completo. Ma asciuga il gruppo, proprio come fa dalla prima trasferta, quella di Siena. Venti convocati, solo due portieri, lesordiente Julio Sergio e il titolare in stand by Doni. A casa i pischelli Faty, Guberti e Cerci: per questo match torna a puntare solo sui senatori. Giusto tre giovani: Andreolli, Okaka e ovviamente Menez. Continua ad andare sul sicuro, ora di più, grazie allabbondanza. Non si fida di niente. Delle tre vittorie di fila della sua squadra, del digiuno della Lazio, ultimo successo in campionato il 30 agosto. «Non sono scaramantico, ma per la legge dei grandi numeri prima o poi conquisterà i tre punti. Speriamo sia poi e non prima. Loro non sono in crisi, le differenze sono minime. Avrà la meglio chi mostrerà più determinazione». E su quella insiste in allenamento, quasi perdendo la pazienza. «Perché lincontro è equilibrato, il distacco in classifica non entrerà in campo. Basta ricordare lultimo derby: la Roma nettamente avanti e la Lazio capace di fargliene quattro».
Vuole il carattere delle nove rimonte, sei vincenti. «Siamo tre i romani e la sentiamo più degli altri, ma non è un vantaggio. Loro lotteranno con il coltello tra i denti, sino alla fine. Noi abbiamo solo qualche vittoria in più, ma le stesse sconfitte: la Lazio ha una difesa ermetica». Proverà ad assaltarla con i suoi tre attaccanti. Con Menez, Totti e Vucinic che «mi dovranno dire che se la sentono anche nel derby...». In difesa Motta può essere preferito a Burdisso se la Lazio gioca davvero con una punta e perché Zarate non si marca a uomo. «Adesso cè la zona, ma bisogna aiutarsi. Compatti e attenti». Ranieri è sempre lo stesso, anche se le scelte sono fin troppo annunciate. La sua lunga notte è già iniziata».