Quando Roma scopriva Toni

29/12/2009 alle 09:43.

CORSPORT (R. MAIDA) - Totti era già capitano della Roma quando Toni pensò che con il cal­cio fosse tutto finito. Luca aveva 21 anni, soltanto uno in meno dell’ami­co, e nel Fiorenzuola non segnava mai. Voleva smettere: lo prendevano in giro, affibbiandogli sopran­nomi tipo Giandone e Olivia ( di Braccio di Ferro), perché era al­to e sgraziato nei mo­vimenti. Un centra­vanti senza futuro e con poco passato. Tanto che l’Empoli di Spalletti, pro­prietario del suo destino, accettò questo scambio di comproprietà: To­ni alla Lodigiani, in serie C1; Flavio Giampieretti, mediano di Passo Co- rese, all’Empoli. Era l’estate del 1998, era il momento che avrebbe cambiato tante storie. Undici anni dopo, Toni torna a giocare a Roma. Stavolta nella Roma. Con Totti..

ROMA - Si presentò in bermuda e con i capelli lunghi, le­gati in una coda di ca­vallo. Guai a toccar­gliela: «Il laccio che li tiene fermi è un regalo della mia fidanzata: si chiama Marta » . Mar­ta Cecchetto, sì. Una di quelle a cui devi credere quando dice che si è innamorata del ragazzo e non del calciatore. In effetti, nel giorno in cui mise piede per la pri­ma volta alla Borghesiana, Toni non era nessuno. Anzi, meno. Perché era in crisi di identità. «Sono qui per stu­diare all’università del calcio. Se ho le qualità per sfondare, alla Lodigia­ni crescerò» disse. Firmò un contrat­to da 50 milioni di lire. Cioè 25 mila euro, cioè un duecentoquarantesimo dello stipendio che gli ha promesso il Bayern fino al 2011.

L’allenatore Guido Attardi lo guardò e si rese conto: « Ragazzo, che fisico che hai. Eccezionale » . Puntò forte su di lui, convinto dal ge­neral manager Sagramola che ne aveva sponsorizzato l’acquisto. Nel ritiro a Laces, Alto Adige, dove il 97,32 per cento della popolazione parla solo tedesco, Attardi si fece ca­pire chiaramente. Voleva che Toni lavorasse sui fondamentali e sui col­pi di testa, per sfruttare l’altezza e la rapidità nei movimenti palla al pie­de.

IMPEGNO - Luca recepì. Tornato al­la Borghesiana, dove ha vissuto per tutto l’anno romano, si allenava più degli altri, prima degli altri e dopo gli altri. Per eliminare i difetti. Era determinato in campo quanto tran­quillo fuori. E con la forza della di­sciplina, con una vo­lontà da studente sec­chione, conquistò la fiducia della società e dello staff tecnico. Di tanto in tanto, aveva addirittura il permes­so di ospitare Marta.

«Era il suo premio - ri­corda un dirigente di allora, Tonino Ceci - perché si com­portava bene. Ma la sera alle 10, tut­ti a letto. Il presidente Malvicini controllava da vicino i giocatori, vi­sto che viveva nel centro sportivo» .



BIG TONI
- I risultati si videro subi­to. Otto giornate di campionato, otto gol. Toni non esultava ancora giran­do la mano accanto all’orecchio, ma si faceva sentire lo stesso al Tre Fontane, il vecchio campo dell’Eur che quell’anno sostituiva il Flaminio in ristrutturazione. In poche settimane era capocannoniere del girone B della C1, un torneo di campioni in pectore: tra gli avver­sari c’era il Marsala di Evra, ora terzino del Manchester United, e il Castel di Sangro di Iaquinta e Cudicini. Via con i para­goni. Toni, il nuovo Batistuta: «Non scherziamo. Bati è il mio idolo. Sem­mai assomiglio più a Vieri, facendo le debite proporzioni» . Forse non era né l’uno né l’altro. Ma forse era dav­vero su quei livelli lì. Toni e basta, non Little Toni come azzardava qualcuno: «Ma mi avete visto bene? Sono alto 1.95!» . E aveva appena co­minciato la scalata.



TRAMPOLINO - La Lodigiani si ad­dormentò sul più bello e arrivò solo dodicesima, ma seminando campio­ni. «Eravamo la squadra più giova­ne della C1» , notò Attardi. Toni in­vece concluse la stagione con 15 gol, uno dei quali fondamentale: il 3- 2 della vittoria alla Favorita di Paler­mo. Sembrava dovesse andare pro­prio al Palermo, che avrebbe rag­giunto anni dopo, invece viaggiò verso Treviso. Sempre con Marta al suo fianco, ma senza più lacci per la coda di cavallo. Ormai era tempo di diventare grandi.

l’allenatore DELFINI

«Altissimo ma ancora gracile rimaneva con me in campo per lezioni supplementari»

I giocatori cercano spesso conforto e certezze negli uomini- ombra delle squadre. Gente di esperienza, che lavo­ra duro nel retrobottega. Alla Lodigiani un prezioso riferimento per Toni era Carlo Delfini, secondo di Attardi e oggi allenatore di due squadre giovanili. « Di Luca posso solo parlare bene - ricorda Delfini - Era un ragazzo umile, sincero, che chiedeva e ascoltava con passione. All’epoca aveva grandi mezzi ma qual­che limite tecnico. E direi anche fisico perché nonostante l’altezza era gracile. Però aveva una formidabile volontà, vo­leva diventare un calciatore importante e con l’applicazione ci è riuscito » .

In­stancabile Toni: « Alla fine di ogni alle­namento mi chiedeva di restare in cam­po per provare i tiri in porta e i colpi di testa sui cross dalle fasce. Anche così si migliora. E per un allenatore è sempre un motivo di soddifsazione aiutare un ragazzo ad arrivare al top» . Il contatto con l’allievo si è diradato per motivi tec­nologici: « Ci sentivamo finché non ho perso il telefonino. Da allora non sono più riuscito a recuperare il suo numero. Sono contento che venga a Roma, spero di abbracciarlo presto. Sono convinto che, se starà bene, sarà un ottimo colpo di mercato» .

il compagno SAVINI

«Aveva già l’istinto da killer di piede era micidiale E poi è cresciuto tantissimo»

Indossava la maglia numero 3, lo apprezza­va da lontano. Mirko Savini, 30 anni, nel 1998/99 era compagno di Luca Toni alla Lo­digiani. E non ha dimenticato certe tracce da killer. «Luca era impressionante già allora

- racconta -. Se gli capitava mezza palla-gol la trasformava in rete. Più di piede che di te­sta. Perché è vero che è un ragazzo molto al­to, ma nel gioco aereo non è mai stato deva­stante » . Lodigiani, à di Roma, come svol­ta di una carriera: «
Beh, sì. A Roma ha tro­vato la sua consacrazione dopo la stagione difficile che aveva vissuto a Fiorenzuola, an­che per merito dell’allenatore, Attardi, che è riuscito a tirare fuori il meglio di lui» . Poi il volo, lento sicuro e costante, verso il Mon­diale vinto a Berlino. Possibile? Vero. Ma co­me?

«Incontrandolo da avversario in serie A, mi sono reso conto che Toni è migliorato tantissimo. Anno dopo anno. Solo così pote­va raggiungere certi livelli. Non come me, che sono un giocatore normale...» . E che l’estate scorsa ha firmato un triennale con i greci del Paok Salonicco: «Calcio modesto ma ben pagato. Sarà dura resistere fino al 2012. Staremo a vedere» . Intanto, Savini ha incassato i rimpianti di De Laurentiis che avrebbe voluto tenerlo al : «Quando ho sentito i suoi elogi, l’ho chiamato per rin­graziarlo. Purtroppo a avevo proble­mi con il direttore Marino» .



SIROTI

«Lo affrontai con il Savoia Era difficile da contenere la C1 gli stava stretta»

Lodigiani- Savoia, campionato 1998/ 99: « 1- 1. Marcavo Luca Toni » . Il ricordo è nitido ma poco autocelebrativo. Paolo Siro­ti in realtà cancellò Luca Toni da quella partita. « Probabilmente gli capitò una giornata storta - spiega - perché aveva del­le qualità fuori dal comune. Era una forza della natura » . Siroti, scuola , og­gi ha 39 anni ed è allenatore-giocatore del­la Recanatese, campionato di serie D. Nel­la sua lunga carriera ( «quasi sempre in C1, girone B, un marchio per me» ) ha raccolto un database completo sui suoi avversari: « Gli attaccanti sono indimenticabili, me li trovavo sempre di fronte... Sicuramente Luca, a conti fatti, è il più forte che abbia mai incontrato » . Anche se... «Anche se al­tri giocatori, come Califano che era con me al Savoia, avrebbero potuto aspirare a una carriera importante. Toni è stato bravo a lavorare per migliorare sempre, sia sotto il profilo tecnico che caratteriale. Non diven­ti campione del mondo senza certe doti» . Doti che ai tempi della Lodigiani meritava­no di essere affinate: « Ma già allora era un calciatore difficile da contenere. Era forte fisicamente e bravo con i piedi. Sem­brava scoordinato nei movimenti eppure controllava benissimo il pallone. Non mi aspettavo che arrivasse così in alto. Ma si­curamente la C1 per lui era troppo poco» .