IL MESSAGGERO -
Passo spedito e sicuro, a testa alta, ha appena tagliato londa lunghissima, come fosse un surfista, dei romani impegnati nello shopping prenatalizio. Non per cento metri, scendendo da un taxi a pochi metri dal palazzo del nostro quotidiano, ma almeno per un paio di chilometri. «Vengo da piazza Cavour, è stata una passeggiata piacevole. Senza soste...» sorride lallenatore della Roma.
In questo piccolo viaggio nella sua città cè proprio tutta la semplicità e la riservatezza di Ranieri che non cerca certo a 58 anni nè la vetrina nè la consacrazione. «So come si fa a passare inosservato, ci sono sempre riuscito. Ed è possibile pure qui, a Roma e in pieno centro. Anche ora che alleno la squadra più amata da questa gente». E racconta quel percorso a piedi ricambiando i saluti di curiosi e tifosi. Non un bagno di folla, ma laffetto per il tecnico che ha riportato in alto, dopo 19 mesi di delusioni e sofferenze, la Roma. «Certo che mi hanno riconosciuto. Per dirmi soprattutto Buon Natale. So che lo passeranno contenti. Perché la Roma ha anche questa forza. Se vince, fa star meglio tutti noi. E sotto le feste è proprio quello che ci vuole. Per tutti noi giallorossi».
Ranieri, quanto laiuta essere romano?
«E sicuramente un piccolo vantaggio».
Si spieghi.
«Parlare romanesco in un ambiente di romani mi agevola. Uno che viene da fuori fa una battuta, non la capiscono, oppure lui stesso non comprende il senso di quello che gli dicono. Io invece scherzo e rispondo. Succede con Totti e De Rossi. Daniele prende in giro Francesco proprio per le mie repliche che un po sorprendono il nostro capitano: non se laspetta... Che Conti già lo conoscevo, noi due giocavamo insieme nella De Martino».
Allestero, certi vantaggi non li aveva.
«Sì, ma cambiava poco. Quando mi arrabbiavo, lo facevo in romanesco. Per cui, certe parolacce...».
Il suo rapporto con la città.
«Come tutti i romani, sarò andato al Colosseo al massimo due volte: ero giovane, mi piaceva andare dietro alle turiste. Il Vaticano e i musei li avrò visti una volta, il Palatino e le catacombe mai. Ora che sono qui spero di avere il tempo per recuperare».
Dopo il derby, è finito sotto la curva. Che cosa è successo?
«Non sono abituato, ma poi mi sono detto: se non ci vado ora... E allora sono partito convinto: non ero più il tecnico, ma il tifoso. Però, non ho mai rivisto quelle immagini...».
I tifosi la fermano per strada, è dura sopportare questo per uno che viene da un altro calcio, tipo quello inglese.
«In Inghilterra potevi prendere la metro tranquillamente, è tutto più semplice. Cè meno pressione».
Roma-Parma senza contestazione alla società: si è accorto che è stata la prima volta da quando è arrivato?
«Mi ha fatto piacere. Quando cè una simbiosi tra squadra e tifoseria, tutto è più facile. Quando hai giocatori che magari in quel momento sono un po insicuri, cè bisogno di serenità. E la nostra gente può darcela».
Quanto ci teneva ad allenare la Roma.
«Tanto. Mi sono sempre detto: se riesco a restare ai vertici, prima o poi una chiamata arriva. Ed è andata così: alla fine si è tutto incastrato perfettamente».
Lo considera un progetto a lunga scadenza?
«Ho due sogni: restare a vita alla Roma e allenare una nazionale. Se dovesse andare male, vorrei tornare in Inghilterra per fare unaltra esperienza e poi allenare una nazionale».
Impossibile essere profeti in patria?
«Non lo so. Spero possa esserlo. Ci provo. Anche perché se non credessi, avrei sbagliato a venire a Trigoria».
E vero che è stato vicino alla Lazio?
«No».
Ci sarebbe andato?
«Non credo. Poi, dipende sempre dai momenti. Sono un professionista e quindi mai dire mai».
Finora ha battuto tutte le sue ex, Fiorentina, Napoli, Parma. Sono risultati pesanti per la zona Champions.
«La lotta per il quarto posto è molto serrata. Le squadre che abbiamo battuto sono nostre concorrenti. Ma io metterei anche il Palermo, la stessa Sampdoria che tornerà a marciare dopo un periodo nero».
Lei così pacato fuori dal campo, così urlatore allinterno di Trigoria. Perché?
«Sono due Ranieri. Io sono per la democrazia, a patto che tutti facciano quello che dico io».
Alla gente piace molto vederla guidare il riscaldamento prima delle partite.
«Lo faccio da sempre. E il momento cruciale della preparazione di un match. Anzi, ora mi sono pure imborghesito: sto in piedi e guardo. Prima portavo io i palloni, mi scaldavo con i giocatori, davo i fratini».
E più facile fare lallenatore o il calciatore a Roma?
«Sicuramente lallenatore. Si è più grandi, ormai la pubertà è lontana».
Come si gestisce leuforia della gente?
«La trovo normale. E giusto che i tifosi siano felici e che sognino i grandi traguardi. Siamo noi che non dobbiamo esserlo, perché il nostro compito è quello di realizzare i sogni della gente. Noi siamo trasmettitori di emozioni. E dobbiamo essere lucidi e capaci di tirar fuori quel qualcosa in più affinché questi traguardi possano essere conseguiti. E questo che deve fare la differenza. Ora le cose vanno bene, speriamo di arrivare in fondo. I cavalli si vedono allarrivo: siamo in rettilineo, dopo aver fatto bene la prima curva. Ora ce nè unaltra, a gennaio e febbraio. Voglio vedere dove staremo al prossimo rettilineo...».
Ma cè la sosta, poco benedetta da lei.
«Io ai ragazzi ho dato le indicazioni giuste. Chi sbaglia, paga. E deve poi mettersi a correre. Ripeto: non guardo in faccia a nessuno».
Qual è il suo calcio preferito?
«Forse quello inglese, mi sento vicino a quella mentalità. Ma lItalia è un altra cosa. E lItalia».
E in Spagna?
«Per loro conta solo il dominio sullavversario. Tu puoi perdere, ma se giochi meglio sono tutti contenti».
Ha lanciato tanti giocatori, ce nè uno a cui è particolarmente affezionato?
«No, non saprei. Non sarebbe nemmeno giusto farlo. Di sicuro ne ho allenati tanti di campioni. Si ricorda Lampard, Terry, ma qui in Italia anche Zola, Francescoli. Ecco, Francescoli non ve lo ricordavate. A Cagliari era in difficoltà per tutta la prima parte della stagione, mi disse: mister, se pensa che sia io un problema, mi lasci fuori. Gli ho risposto: se cè una possibilità di salvarci, tu sarai con me. Fu uno dei migliori. Poi tanti altri, Fonseca, Alemao, Careca, Batistuta, qui Totti».
Ecco, Totti...
«E un giocatore fantastico. E uno che dà tranquillità alla squadra, sia se sta bene sia se sta male. Io non lo toglierei mai. Col Parma mi ha chiesto lui di uscire, altrimenti non ci pensavo proprio. Francesco fa giocare bene tutti. La squadra ha bisogno di uno a cui dare il pallone e sperare che succeda qualcosa. A me succedeva con Palanca a Catanzaro. Rubavo il pallone e lo davo solo a lui. Mi illudeva a prescindere».
La Roma è una squadra che segna molto nella ripresa.
«A volte può sembrare un caso. Questanno mi è capitato spesso di cambiare assetto nellintervallo. Specialmente quando giochi allOlimpico non è facile comunicare con i calciatori mentre sono in campo, non ti sentono, sono presi dalla partita».
Il segreto della sua Roma qual è?
«Abbiamo ritrovato lentusiasmo. E poi dico sempre ai ragazzi, chi si allena vince. Chi si allena vince i tanti rimpalli, i contrasti. Arriva alla fine più fresco, lucido. Non è fortuna, statene certi. Non si rimonta tutte quelle volte solo per caso. La difesa e il portiere sono per me le fondamenta di questo gioco: io ci sto attentissimo, quotidianamente».
Dietro, negli anni, si è ispirato a Sacchi?
«Mi voleva portare al Real, ho un gran rapporto con lui. Ha cambiato mentalità e lavoro. E io lho seguito. Mi ritengo un superorganizzatore».
Qual è il grande complimento che si è sentito fare in questo periodo?
«I tifosi mi ringraziano, perché ora possono passare un buon Natale».
Spalletti a Roma ha lasciato il segno.
«E vero, il suo calcio era bellissimo da vedere. Ma dicevo ai miei giocatori che per noi era ancora più bello affrontare la Roma. Perché era bellissimo segnarle quattro gol».
Ora ha scelto la Russia.
«Di sicuro lì non si abbronza... Scherzi a parte, per lui sarà unesperienza molto importante. Allenare allestero ti apre la mente».
Perché tra lei e Mourinho le cose non vanno.
«Alla fine è uno scambio di battute, nulla di più».
Il portighese, però, le ha dato anche del settantenne...
«Anche lui comincia ad avere qualche capello bianco. E comunque alla sua età io ero completamente nero. Ci sono le foto...».
E amico di Ballardini?
«No, non lo sono. Lo conosco ma non siamo amici».
Secondo lei perché ha detto che la Roma può insidiare lInter per lo scudetto?
«Non lo so, forse perché lo pensa. Ma sinceramente la vedo dura. Può perderlo solo lInter. Ma non succederà: è allenata da Mourinho, il più italiano di tutti noi».
La scuola italiana è la migliore?
«Come organizzazione difensiva sicuramente sì. Ma non siamo catenacciari».
Lei con sé ha un francese, Damiano.
«Lui è stato il coordinatore degli allenatore allInstitut National du Football de Clairefontaine, bravi insegnanti di tecnica, bravi a far crescere i giovani. Ma ai francesi non chiedere mai come devono difendersi».
A proposito di francesi: Menez?
«Punto molto su di lui. E un grande giocatore. Ma adesso intorno a lui ci sono altri che crescono e sarà sempre dura. Il suo ruolo? E un trequartista, deve giocare dietro le punte. Da esterno può fare molto, ma non è la sua posizione».
E Vucinic?
«Un altro dalla tecnica fuori dalla norma. Ha una capacità di correre con la palla tra i piedi che è incredibile. Ma anche lui sostiene di avere limiti caratteriali».
E Cassetti?
«Il derby lo ha cambiato. Prima non era così. In quella settimana già lo vedevo diverso, più forte, più rabbioso. Lho portato in panchina. Poi, è successo quello che è successo. E ora ho a disposizione il Cassetti che conoscevo, non quello dellinizio campionato, quando non era lui».
Altro da menzionare: Riise.
«Io lo vedevo in Inghilterra, giocava alto. Qui sta facendo cose incredibili. Gli faccio i complimenti. Gli ho anche detto: hai imparato a fare il difensore italiano...».
Cè un giocatore della Roma che lha particolarmente impressionata?
«Okaka. E un ragazzo dalle grandi doti. E un anima buona, però. Deve incattivirsi. Può fare una grande carriera, dipende solo da lui. Ha il biglietto della lotteria, deve solo presentarsi a incassarlo».
Come giudica il fenomeno del guardiolismo.
«Noi lo abbiamo scimmiottato. Guardiola è figlio di quella cantera di una società che ragiona in un certo modo. Lui è bravo, ma lavora nella casa madre. Lì funziona così: se prendi un ragazzino del Barcellona e lo porti in prima squadra, farà quello che fanno gli altri. Io non sono così convinto che se prendi Xavi, Iniesta o altri e li porti in unaltra squadra sapranno fare le stesse cose. Resterebbero grandi calciatori, ma diversi».
Ora dalla società si aspetta un rinforzo: alla Roma serve davvero una punta centrale?
«E difficile chiedere qualcosa ora che le cose vanno bene e questi ragazzi hanno ottenuto risultati eccezionali. Però chiederò un attaccante. Uno che sia capace di fare gol e di sostituire Totti, che ogni tanto ha bisogno di rifiatare, povero ragazzo. Ma sia chiaro: chiunque arriverà, per guadagnarsi il posto deve dare il trecento per cento. Fare i salti mortali».
Sia sincero: si aspettava di riportare la Roma, in poco tempo, così in alto?
«Io mi sono subito messo lelmetto e sono andato in campo a testa bassa. Senza guardare la classifica».