Su quella sponda del fiume la prima leggenda giallorossa

03/11/2009 alle 09:43.

CORSPORT (L. CASCIOLI) - Gli ottanta anni di Campo Testac­cio più che il ricordo di uomini ed eventi che quasi nessuno ricorda più, meritano un’elegia. L’elegia dell’inespugnabile stadio di legno che allungava la sua ombra tra il Monte dei Cocci e le strade sterrate, vivendo di quel lungo splendore che i tramonti sanno concedere ai quar­tieri che costeggiano il fiume. Sulle tribune c’era abbastan­za cielo per la felicità della gente, che canta­va la canzone di Te­staccio sulle note di un valzer da organetto...

« Campo Testaccio / c’è tanta gloria / nessuna squadra / ce passerà » .

frontati muraglioni impedivano ormai alla riva ostile del Te­vere di rovesciare fango e marciume. Accaddero molte cose felici su quel terreno di gioco, tra il 3 novembre del 1929 e il 30 giugno 1940. Masetti e Bernardini, i più assidui, riusciro­no a rallegrare gli animi dei tifosi tra spacconate e prodezze che riem­pirono le cronache e vennero addi­rittura celebrate sugli schermi: 214 partite disputate, 150 vittorie, 34 pareggi e 30 sconfitte. I più bei no­mi del calcio italiano ed europeo si

SLesibirono su quel terreno, da Meaz­za a Planika, da Piola a Braine, da Orsi a Sarosi, da Ferrari a Zsengel­ler. Ben 562 i gol segnati dalla Ro­ma, 173 quelli subiti. « Quanno che comincia la partita / ogni tifosetta se fa ardita / strilla Forza Roma a tutto spiano / con il gagliardetto in mano / perché cià er core romano? » . e vittorie avevano più sapore su quei marciapiedi, tra vecchie bot­teghe e alberi che spor­gevano dai muretti, co­ronati da soffici nubi. Fu in questo quartiere nato sui resti argillosi dell'antico porto di Ri­pa Grande che la Roma venne a costruire il suo Tempio calcistico, per dare corpo a un proget­to tornato adesso di at­tualità. Ormai le barche si avvicinavano a quel­le incerte rive sobbal­zando, tra i canneti e la corrente traditrice. Il primo gol, nel lontano 1929, lo realizzò Rodol­fo Volk, il gigante fiu­mano che fece impazzire i tifosi pri­ma dell’avvento di Guaita, il « Cor­saro nero » . Erano tempi mitici, do­minati dalle leggende. Quelle dei campioni di calcio si mescolavano a favole di draghi e sirene. Ma era­no anche tempi in cui vennero toc­ record rimasti poi inavvicina-


Cbili e imbattuti, come quello rag­giunto da Guaita nel campionato 1934- 35 con 28 gol a segno in 29 partite, che aspetta ancora un campione capace di fare meglio.


erto è che migliaia di tifosi gre­mivano pericolosamente quelle tribune di legno. Dicono che i difen­sori della Roma terrorizzassero con minacce gli attaccanti avversari, ma queste sono favole inventate nei bar, nelle trattorie e negli empori della zona, labirintici come il rove­scio delle carte da gioco, esposti al sole, alle piogge e ai venti del sud. Cose che appartengono al tempo.

oggi mi sembra una fandonia che la leggenda di Testaccio abbia avuto inizio ottanta anni fa e che duri solo da allora, perché l'ho sem­pre giudicata eterna come l'acqua e l'aria.