Ma questi son misteri da profondo giallorosso

20/11/2009 alle 10:28.

IL ROMANISTA (F. STINCHELLI) - La prosa di Giancarlo Dotto, in barba al noto rapporto amore=odio che ci lega (o divide?), continua ad affascinarmi. Prendiamo ’Il mistero dei mille misteri’ apparso ieri sulla prima pagina del

Perché, vedete, amici miei (e non della ventura), in questa AS Roma 2009, divenuta inopinatamente ’dominion’ del matronèo sensiano, in cui tutto si mischia e si confonde, dai bilanci alle ’locations’, dalle funzioni ai ruoli, dove non si sa più dove finisca Trigoria e incominci Villa Pacelli, dove Pradè può essere preso per Montali, chi ci si raccapezza è bravo sul serio. Alle corte e per dirla in lingua franca: risulta proprio un bel casotto. Dìtemi, per esempio, che ci sta a fare, in quella corte dei miracoli, il sullodato Gipì Montali. Mi direte:"Che domande!, è lì a ottimizzare le risorse umane". D’accordo, ma ’famo a capisse’: ottimizza che? Avanzo timidamente una risposta: è costì per evitare che Vucinic e Okaka si prendano a capocciate in campo, e Perrotta e Pizarro a schiaffi nello spogliatoio? Ma, benedettiddìo, a comporre il primo duello basta e avanza Ranieri, mentre al secondo non darei gran peso, suvvìa. son cose che càpitano nelle migliori famiglie. E invece, no, il Matronèo si preoccupa, eccome! Ragion per cui, detto fatto, provvede a ingaggiare l’Ottimizzatore

Emerito. Ma chi lo paga, Gipì? Mysterium, l’ennesimo, e certamente tra i più (in)gloriosi, visto che in à si fa un gran mormorare di ’tre o quattro mensilità arretrate’. Ma fermiamoci qui, bando ai pettegolezzi.

Atteniamoci a un sereno (nei limiti del possibile) esame della situazione. Citata in giudizio dalla banca per l’Italpetroli (con la Rometta nostra coinvolta a rimorchio), di certo la Famiglia non vive giorni tranquilli. Immaginiamo, hélas, le angustie in cui versa al momento il commendator Pippo Marra, che sìbila: "Mo’

gliela scrivo io una bella (?) lettera a ’sta mappata e’ fetiente", e, di contro, il povero amico nostro Enrico

(Bendoni) a scongiurarlo, con le lacrime agli occhi: "Lascia perdere, Pippo, non ti compromettere, ché poi so’ dolori", conscio del fatto che, in mano al pervicace epistolografo, la penna diventa una letale arma impropria.

So’ momentacci, c’è poco da dire. Qualcuno mi domanda: "Lei che è di lungo corso, se la ricorda un’altra Roma in analoghe ambasce economiche?". Provo a rispondere, strizzandomi la grigia cervice. Sei mesi prima della morte di Dino Viola (19 gennaio 1991), le casse giallorosse presentavano uno sbilancio di 6 miliardi di vecchie lire. Erano altri tempi, d’accordo, ma anche allora un deficit del genere appariva risibile. Sarebbe bastato che Viola, cedendo alle insistenti offerte del duo Berlusconi-Galliani, vendesse Desideri (12 miliardi!) al Milan ed ecco il bilancio bello che risanato. Per non parlare delle due, assai redditizie, finali di coppa (Uefa e Italia) che la Roma di Voeller, Giannini, Carnevale, Nela e Carboni si accingeva a disputare, e dell’indennizzo (5 miliardi) conseguente allo sfratto al Flaminio patito per il Mondiale ’90, che misero fine a ogni inquietudine finanziaria.

Talché, la Roma dei Viola venne ereditata da Ciarrapico in ottime condizioni economiche. Altrettanto non si può dire, va sottolineato, per la Roma che, di lì a poco, il Ciarra consegnò alla ’cordata’ Sensi, Mezzaroma & C.: 136 miliardi sotto. C’è stata, è vero, la Roma del Marini Dettina, che chiuse vistosamente in rosso, con la scusante d’aver fatto un mercato dispendiosissimo: Sormani, Angelillo, Cudicini eccetera. In à si sparse allora la favola che il ’ s’era rovinato per la Roma’. Vero è, per avermelo quell’onest’uomo successivamente confidato di persona, che nel disavanzo delle sue imprese la Roma c’entrava, sì, ma per una minima parte. Per il resto della sua storia, la Roma di tempacci (Evangelisti, la ’colletta del Sistina’ ecc.) umilianti ne ha visti, non saremo qui a negarlo. Ma di così definitivamente negativi come i presenti, che la vedono confinata in orrenda posizione di stallo, questo mai. Date rètta a uno che ne ha viste troppe. Senza per questo menarne alcun vanto.