Dio lo vuole e anche il popolo

15/11/2009 alle 15:58.

IL ROMANISTA (F. STINCHELLI) - Nella corrente ridda d’interviste (ormai lontane), comunicati (presenti) e chiacchiere (eterne), vorranno perdonare, i miei correligionari e pazienti lettori, se qui confesso di non aver ancora ben capito come e quando Francesco Angelini riuscirà a diventare presidente dell’Associazione Sportiva Roma.

Sta di fatto che sono troppo rozzo e, ahimé, troppo povero per riuscire a introdurmi nei penetrali delle diaboliche strategie con cui Gianni Letta e Cesare Geronzi (per non parlare dei tanti loro servizievoli caudatari), hanno deciso di far salvo il matronèo di Casa Sensi a spese della nostra povera, amatissima Lupa. Tutto troppo arduo, troppo astruso, troppo astuto... embè, che ciavéte da rugà, sarò pure professore, come dite voi, ma ogni personcina umana ha i suoi limiti. O no?

Ora, ammesse le mie carenze, traggo un sospiro di sollievo e passo a dirvi, sic et simpliciter, quanto in cuor mio credo d’aver appurato sul conto del sullodato dottor Angelini. Be’, udite, udite, udite: il dottor Angelini ha la faccia da presidente. Da Presidente della Roma, in particolarissimo modo. Che vuol dire la faccia? Non scherziamo, ragazzi, la faccia, in un individuo, vuol dire molto. In un aspirante presidente della Roma, poi, equivale al ’colpo del cartoccio’, quello con cui Cyrano risolveva tutti suoi duelli.

Vedete, per uno che ambisca a sedersi sullo scanno che fu prima di Sacerdoti, Gianni, Marini Dettina, Viola e compagnia illustre, la faccia conta più del portafogli. Se poi, al di là e al disopra della faccia, il candidato dispone anche di abbondante peculio (ed è il caso del Dottor Tachipirina), ma che ne parliamo affare, cosa fatta capo ha. Ora, qualcuno penserà che scherzo, che indulgo alla celia in una domenica in cui il calcio di club mi (ci) concede una tregua. Beato lui, si figuri se ho voglia di scherzare con questi chiari di luna. Parlo seriamente, forte di una scienza di cui sono padrone. Perché - l’ho già riconosciuto -, non avrò santi in paradiso a Palazzo Chigi, e men che meno a Piazzetta Cuccia, ma, di contro, quanti presidenti della Roma ho conosciuto! Tanti, forse troppi. E tutti, nel farne la conoscenza, ho ben guardati in viso.

Comunque, state tranquilli, laddove il trascorrere degli anni avesse offuscato il ricordo, mi son precipitato a rinfrescarlo in emeroteca. Ragion per cui le fisionomie degli ottimati nostri, quanto meno dei memorabili, le ho tutte qui ben presenti. E vi garantisco che tutti, per un verso, un tratto, una grinza, tra di loro si rassomigliano. Insomma, presidenti dell’ASRoma non si diventa, si nasce: una questione di DNA, come si dice oggi che ci esprimiamo tutti come scienziati. Non ci credete? Allora state a sentire. Vado a memoria, in fretta, e perdonate qualche eventuale omissione...

Prendete Renato Sacerdoti: un banchiere ebreo, considerato ricchissimo nella Roma anni Trenta. Certo, non era Rothschild, ma incuteva soggezione lo stesso, per via della statura imponente e dei modi franchi, romaneschi. Ricordo il giorno che mi disse, vedendomi seduto in macchina, accanto a mio padre, che era al volante, e intenzionato secondo lui a non cedergli il posto: "A sor du’ fodere, che ce fai lì, la copella? Scegni e méttete de dietro!". Più d’un consiglio, un ultimatum. Solo più tardi, in famiglia, mi venne spiegato che dicesi ’copella’ il barilotto che il carrettiere a vino tiene sempre al suo fianco.

Un dèspota, direte voi. Sicuro, proprio come Gianni, che si chiamava Anacleto ed era un pezzo d’uomo alla Sacerdoti. Si somigliavano moltissimo, specialmente nei modi, avevano un’aria papale. A Roma, a furia di litigare nei secoli, accade che ’li giudijji’ importanti finiscano per assumere un’aria papale. Medievale, naturalmente. E perché, Franco Evangelisti, anche nel porgere, non era un tutt’uno con l’onorevole Pietro Baldassarre (presidente giallorosso dal 1945 al ’49). Quando gli andai a chiedere un intervento per evitare a mio figlio la naja, Franco mi disse: "Furviè, tutti rompicojjoni, voi padri". Di certo, Baldassarre avrebbe usato altra espressione, ma il favore ci sarebbe scappato egualmente.

Tra i presidenti longilinei, mi sovvengo di quel gran signore che fu il Marini Dettina. Uomo squisito, anche nell’eloquio, non badava a spese: portò alla Roma Angelo Benedetto Sormani, oltre a Schnellinger, pagandolo la cifra-record (si era nel 1963) di 500 milioni di lire. Dino Viola aveva in più la grinta, ma del condivideva lo stile e la determinazione.  Sempre sul filo dei ricordi, arrivo a Francesco Ranucci, il papà di Raffaele, che per tanti versi ’faceva scopa’ con Alvaro Marchini, con un solo particolare a distinguerli: Marchini era, o si atteggiava, comunista.

Per non parlare di Franco Sensi, somigliantissimo ai due precedenti, ma di più contenuta statura. "A Fra’, vorrei esse’ come te e cieco da un occhio", gli disse una volta Marchini. E Sensi, eccezionalmente spiritoso: "Pure!... e che artro te serve?". Oltre questa minuta aneddotica, c’è da dire che un dato ha sempre assimilato i diciassette o diciotto presidenti dei miei ricordi. (Nel mucchio inserisco anche Giuseppe Ciarrapico, col quale non ebbi un rapporto idilliaco, ma del quale, ora, alla luce delle estreme evenienze, posso dire che, forse, lo si è demonizzato al di là dei suoi demeriti).

Questo dato è costituito, nel bene e nel male, dalla ’vocazione’, che non è soltanto fisionomica, ma sublima nel mistico-trascendentale. Mi spiego: presidenti della Lupa si diviene rispondendo alla ’chiamata dall’alto’, alla maniera dei cistercensi o dei carmelitani scalzi. Ed è questo un elemento che, stando alle foto (non ho fin qui avuto il bene di conoscere personalmente il dottor Angelini), mi radica nel convincimento che, prima o poi, sarà lui a insediarsi al governo della Roma. Tali foto ci mostrano un uomo nella sua piena maturità, dalle forme robuste, l’espressione spiritosa, ma ferma... L’incarnato, al pari del capello, è rossiccio, mentre lo sguardo la dice più lunga di ogni altro connotato: è un uomo che se si mette in testa un obiettivo lo raggiunge: E in questo, senza togliergli niente, più che carmelitano mi pare Sant’Ignazio di Loyola: perinde ac cadaver.

Celie a parte, questo dottor Angelini (che a me, non so perché, viene di chiamare ’commendatore’), ha proprio la faccia del presidente della Roma. So, e me ne dolgo, di non dire cose gradite al matronèo pacelliano, ma c’è poco da dissentire: se la mettiamo sulle facce, è difficile che mi sbagli. Forza, commendator Angelini. Deus vult! Dio lo vuole. E anche il popolo romanista.