Andarono in bicicletta a vedere la Roma a Livorno. Si sposarono nell’anno del tricolore. Per sempre

11/11/2009 alle 10:12.

IL ROMANISTA (M IZZI) - Flora e Dino Viola si erano conosciuti nel 1939 a Comano, una località di villeggiatura sull’Appennino Apuano. Dino, 24 anni, era già un più che promettente studente della Facoltà d’Ingegneria Industiale Meccanica di Roma (si sarebbe laureato nel giugno del 1940), Flora, diciottenne aveva appena terminato gli studi superiori. La leggenda vuole che inizialmente tra i due non scocchi una immediata simpatia, anzi… ma in breve la scintilla che a Comano aveva esitato a scattare, si trasforma in un incendio..

Nella primavera del 1942 la giovane coppia convola a giuste nozze. Flora conservava in una bella cornice d’argento sopra al comodino della sua stanza da letto l’immagine che la ritraeva all’uscita della chiesa con il suo sposo in divisa da ufficiale regio. Uno sposo che, a dire il vero, non faceva che parlare della Roma, che in quelle settimane era in lotta per la conquista dello scudetto. L’ossessione è così forte che il 7 giugno, Dino, in compagnia di Flora e di una coppia di amici organizza una “gita in bicicletta” per  raggiungere Livorno ed assistere al match tra i locali e la formazione giallo-rossa.

La gara, come nella migliore tradizione romanista è al cardiopalma. Scrive Ettore Berra, sulle pagine de La Gazzetta dello Sport: «Il Livorno ha attaccato per tre quarti dell’incontro, con un impeto disordinato, con un’ansia di segnare che comprometteva anche le residue possibilità del suo gioco troppo sommario e troppo

avventato. Si sono solo avuti nel secondo tempo, due o tre momenti in cui gli amaranto parevano sul punto di segnare, ma quando sembrava che la loro fuga disordinata potesse sfociare oltre lo sbarramento difensivo avversario, è balzato fuori Masetti a deluderli». Quella gara la Roma la vinse per 2-0, Viola rimediò un colpo

sulla nuca perché: “I livornesi non scherzano mica”, e dopo una visita negli spogliatoi ai futuri campioni d’Italia, i due sposini erano nuovamente in bicicletta per i 70 Km del ritorno. Da allora Flora ha dovuto  convivere con la passione maniacale di Dino per la Roma. Un fiume di rinunce, arrabbiature, sospiri che culmina nel 1976 in una sorta di delirio d’amore. L’ingegnere si trova a Chianciano, dove è colpito dagli effetti di un’ulcera perforata, ed è trasportato d’urgenza in sala operatoria. Quando Flora ne è informata si scaraventa al suo capezzale e all’uscita dall’intervento è lì ad accogliere suo marito, che con un filo di voce

le sussurra: «Ce l’ho fatta, sono contento … e poi sai, mi sarebbe dispiaciuto morire senza aver fatto nulla d’importante per la Roma».



Nel 1979, finalmente Dino Viola corona il suo sogno e rileva la Roma. Flora sarà costantemente informata di tutti gli avvenimenti più importanti di questa avventura. Dalla telefonata fatta a Liedholm per strapparlo al Milan, sino alla snervante trattativa per la riconferma di Falcao, per arrivare al colpo a sorpresa dell’ingaggio di Ruggero Rizzitelli. Del resto l’Ingegnere era solito tenere proprio nella sua abitazione gli incontri di lavoro più delicati, forse anche perché, lì, poteva avvalersi del ruolo di perfetta padrona di casa di sua moglie Flora. Persino Boniperti nei suoi ricordi citava prima ancora di qualsiasi altro aneddoto, l’impressione viva della signorilità della signora Flora apprezzata a più riprese negli Anni 80. Il 19 gennaio 1991, poi, un male inclemente leva a Flora l’amore della sua vita. Fu accanto al suo Dino sino all’ultimo, lo testimoniano le struggenti immagini in compagnia dell’equipe medica che assistette il presidente nelle ultime settimane fatte di dolore, speranze e delusioni. All’indomani della scomparsa di Dino Viola le venne chiesto di assumere la presidenza della Società. Un atto simbolico, senz’altro, ma proprio per questo vissuto con un’attenzione, un rigore, un alto profilo che avrebbero senza dubbio riempito d’orgoglio suo marito. Il 9 giugno 1991, quando la Roma, a Marassi, si aggiudicò la Coppa Italia, formalmente Flora Macera Viola aveva già effettuato il  passaggio di consegne che aveva investito la nuova proprietà di tutti i poteri.

Giuseppe Ciarrapico, però, con una sensibilità di cui gli va dato atto, intuì che ad alzare il trofeo al cielo non poteva che essere Donna Flora.

Con una sciarpa giallorossa e una blucerchiata  tra le mani, in nome del marito Dino, lei, emozionatissima, si  presentò alla cerimonia di premiazione. A questa immagine è legato l’ultimo ricordo che conservo di Donna Flora. Alla vigilia dell’apertura della mostra di Testaccio del 2007, questa anziana, straordinaria signora, si presentò nei locali dell’ex mattatoio per ammirare l’esposizione assemblata dall’UTR. Flora si fermò a

lungo nel padiglione che mostrava la sua gigantografia nel momento in cui riceveva la Coppa Italia. Rimase lì di spalle, appoggiata al bastone da passeggio, con il viso fisso a quell’immagine, indecifrabile, quasi trasfigurata, un tutt’uno con il passato e con i suoi ricordi a cui oggi, si è riunita per sempre.