Un bilancio sotto l'albero

10/10/2009 alle 11:05.

IL ROMANISTA (S. PETRUCCI) - Che cosa troverà la Roma sotto l’albero? Di certo non un nuovo stadio, né un centravanti. Qualche grossa novità invece sì, altrettanto certamente. Non ingannino i silenzi di questi giorni: Rosella Sensi con la bocca cucita, dopo lo show ispirato al sogno-Massimina; muti gli altri protagonisti della scena giallorossa, dalle banche agli imprenditori interpellati per complesse cordate.

Rosella Sensi con la bocca cucita, dopo lo show ispirato al sogno-Massimina; muti gli altri protagonisti

della scena giallorossa, dalle banche agli imprenditori interpellati per complesse cordate. Dietro tanta calma apparente, ribolle però un turbinio di contatti febbrili, di colloqui serrati, di appelli accorati. Tutto, assai prima che sull’erba malata di Trigoria, ruota attorno all’Italpetroli. Al colosso dai piedi d’argilla che frana ormai su sé stesso, che implode schiacciato sotto il peso terrificante dei debiti. Unicredit, dopo le sue mille incertezze (e le pressioni sicuramente C ricevute sul fronte politico) ha ormai messo in moto la macchina spietata dei decreti ingiuntivi, che raggiungeranno in tempi brevissimi il raggelante status dell’esecutività. Scatteranno presto, così, i pignoramenti su tutti gli asset della holding, Roma esclusa. Una procedura di legge, che ovviamente non consegnerà materialmente alla banca di Profumo il possesso degli impianti di Civitavecchia, né dei terreni di Torrevecchia o di altri gioielli di famiglia (Sensi). Dal punto di vista pratico, le diverse proprietà verranno affidate al controllo degli attuali amministratori, in attesa di una vendita - peraltro complicata - che possa ripianare almeno in parte la spaventosa esposizione del gruppo nei confronti degli istituti di credito: a oggi, oltre 400 milioni di euro.

Va detto subito, per chiarezza, che gli asset in questione, a fronte della realtà attuale del mercato, valgono infinitamente meno delle cifre di iscrizione a bilancio. A essere ottimisti, ma il momento è quello che è, si raccoglierà poco più di un quarto di quanto servirebbe a coprire i debiti. D’altro canto, la banca non aveva alternative. L’inasprimento della pressione sui Sensi, prima ancora che dal piano di rientro da loro sempre disatteso, è ormai diventato un obbligo di fronte agli azionisti. Italpetroli è così a un passo dalla liquidazione. Un’ipotesi che, paradossalmente, fa sprofondare nell’ansia tanto la famiglia Sensi quanto lo stesso istituto creditore: se l’ormai ex colosso dello stoccaggio finisce in pezzi, Unicredit (che lo controlla al 49 per cento) rischia di perdere tutto. Il redde rationem pare alle porte: a fine novembre la Roma approverà un bilancio sostanzialmente positivo, ancora in grado di godere dei benefici influssi degli introiti relativi all’ultima stagione di . Ma in compenso di qui a giugno 2010 dovrà cercare di coprire lo sbilancio a suo tempo indicato: tra i 35 milioni che servono per non finire sott’acqua e i 20 incassati al mercato estivo (la cessione di Aquilani al Liverpool), ballano appunto 15 milioni, mica spiccioli. Altro che sogni di mercato a gennaio, altro che progetti-Cavani o Toni: per far quadrare i conti bisognerebbe fare ancora cassa, cedendo e abbattendo ancora il monte-ingaggi (capito perché il contratto di è ancora fermo?), senza effettuare operazioni in entrata, se non a zero euro... Ecco allora la sorpresa di Natale. Certa, più che possibile. Di qui a meno di tre mesi, diciamo entro settanta-settantacinque giorni, la situazione sul fronte finanziario va risolta un volta per tutte. La banca deve rientrare. In che modo? Cercando di vendere la Roma, rispondono a casa Profumo. Costruendo una cordata che dia ossigeno e nuove prospettive ai proprietari, la replica di casa Sensi. Si spiegano in questo modo gli agitati silenzi delle ultime settimane. Di qua una banca che aspetta i pignoramenti tremando all’idea che Italpetroli si sbricioli come un grissino e, al tempo stesso, chiede - soprattutto all’estero - manifestazioni di interesse per l’unico asset del gruppo di valore reale (la Roma, appunto); e pare che qualcosa si sia già palesato, sul fronte dei fondi americani. Di là Rosella Sensi che, presentato il suo rendering-stadio (più corretto chiamarlo così, piuttosto che progetto: una sofisticata espressione di grafica tridimensionale), cerca disperatamente partner che la sostengano. Soci che le consentano di trovare ossigeno - leggi: milioni di euro - in cambio della spartizione del business-Massimina. Che insomma la mettano nelle condizioni di rendere operativo un progetto nel quale non ha creduto nessuno, non solo gli ormai celebri "nemici della Roma". Prova inconfutabile, l’assoluta immobilità registrata sul mercato borsistico all’annuncio del sogno del "Franco Sensi". Se qualcuno avesse davvero ritenuto possibile che un club diventasse in prospettiva più ricco per centinaia di milioni, il titolo-Roma sarebbe schizzato in alto come un tappo di champagne.

Più che nei giorni dell’effetto-Soros. Invece, tutto fermo. Il guaio, per il presidente della Roma che cerca disperatamente risorse quanto in fondo per lo stesso Unicredit che altrettanto disperatamente deve recuperarne, è che tra tante voci di possibili aspiranti soci l’unico interlocutore attendibile resta Francesco

Angelini. Il solo ad aver messo sul tavolo un’offerta vera, peraltro assai lontana dal coprire l’entità del debito

di Italpetroli, oltre che dalle richieste di proprietari mai troppo convinti di dover cedere. Così, se la banca teme di incassare poco (Angelini ha parlato di 140-150 milioni per il 67 per cento delle azioni in mano ai Sensi), gli stessi Sensi non possono essere entusiasti della prospettiva: perché non amano l’industriale farmaceutico,

soprattutto perché questi ha più volto ribadito di essere interessato alla totale acquisizione della Roma, non alla sua gestione in partnership. Non per niente Rosella Sensi nelle ultime settimane ha battuto soprattutto la pista dei costruttori. Ottenendo peraltro, a parte la colorita (e interessata) offerta di Scarpellini, proprietario dei terreni della Massimina e a sua volta uomo di mattoni e cemento, soltanto l’appoggio di Massimo Mezzaroma: «Formiamo una cordata di imprenditori che, partendo dalla realizzazione di un nuovo stadio, fornisca un aiuto

concreto alla Roma; la cui proprietà dovrebbe rimanere sotto il controllo di maggioranza dei Sensi, che

hanno mostrato uno spirito di sacrificio immenso per il club». Una strada lunga, complicata, altre volte miseramente fallita: ricordate quanto imprenditori romani, Danilo Coppola a parte, accettarono di affiancare

questa proprietà nei giorni amari della ricapitalizzazione? Ancora più complicata è del resto la partita a scacchi ormai avviata tra i Sensi e Unicredit. Troppe necessità sembrano non coincidere più, mentre all’interno dello stesso istituto sta montando una corrente che chiede a Profumo per quale ragione, anziché mettere effettuare pressione sugli altri asset di Italpetroli, non si sia inquadrato nel mirino del pignoramento Roma 2000, la società che controlla appunto l’As Roma. Sotto l’albero, anzi sotto la banca, chi crepa?