La schiena dritta che verrà

21/10/2009 alle 10:22.

IL ROMANISTA (S. PACIFICI) - Imbarazzante. Imbarazzante, dopo la prova dell’altrettanto imbarazzantissimo Rosetti, ascoltare dai vertici di tutto il cucuzzaro pedatorio le cose dette e non dette, le prese di distanza ma non troppo, certe legittimazioni delegittimanti. Deprimente captare sussurri sfilacciati del genere “mo’ ve lo teniamo lontano per un po’, mo’ gli facciamo saltare un paio di partite”. Quasi comico sbirciare lo sguardo vitreo nel vuoto di un ColI lina impantanato sulla poltrona del Meazza, mentre osservava l’ennesimo scempio shakespeariano che veniva rappresentato..



Non confondiamo ed evitiamo fraintendimenti, lo stesso Ranieri l’ha detto subito chiaro e tondo: la partita andava chiusa prima (più prima che poi) da noi, perché la Roma era più forte e doveva chiudere. Punto. Ma detto questo, la questione non può essere ridotta a un piagnisteo arbitrale indistinto. La questione è un’altra: chi ce l’ha messo uno come Rosetti a fare addirittura l’internazionale? Macchissenefotte se adesso ce lo tengono lontano per un po’, se lo mettono in salamoia a decantare. Intanto, un’altra volta, l’ennesima volta, la gabbia è stata aperta, le tigri sono uscite, il casino è bell’e fatto. Da capo a dodici, come per tante altre faccende che riguardano il calcio. E il bello (il brutto, anzi) è che non ci si può neanche lamentare più di tanto, se questo è il risultato capolavoro di una politica di sottomissione ad alzo zero verso i potentati econocalcistici, di gentilmorattismi, di gallianamicizie. Di profili bassi che oggi puoi anche improvvisamente (e finalmente, ma anche tardivamente) decidere di buttare del tutto alle ortiche, ma che nel frattempo hanno stratificato radici su radici, inglobandoti nel Grande Sistema come un sassetto sperduto nel terriccio. Quand’è così, quando le premesse sono (erano?) queste, quando chiedi favorucci e prebende, la volta che devi strillare strilli al vento.



E le risposte se le porta beatamente via tutte lui, come tristemente strimpellava ai tempi d’oro un certo Robert Allen Zimmerman, passato alla gloria come Bob Dylan. Finiscono a veleggiare sull’onda del nulla. Batti i pugni sul tavolo, ma la consistenza della protesta equivale al frignare tritacervello d’un bimbetto che pretende la sua marmellata. Resta lì, un’eco che rimbalza contro i pensili in formica della cucina, tanto prima o poi finisce. E finirà. E domani sarà come prima. Ma il domani, compreso quello della Roma, passa per l’oggi, e oggi questo ci ritroviamo ad essere. Anche se poi di colpo, come punti in un incubo, sbarriamo gli occhi,

sussultiamo e sconvolti dall’horror abiuriamo. Uno come Indro Montanelli, ormai lontano anni luce da quest’Italietta così politically correct di adesso, dove tutti sono pronti a tutto nel nome di qualcosa, ha nuotato per novant’anni nel suo inchiostro nero con la schiena dritta fino alla fine. E per permettersi di mantenere questa sua indipendenza, i politici di destra e di sinistra che bastonava a suo piacimento e a servizio del lettore, li teneva (eccome) alla larga dalla sua frequentazione. Dunque, va da sé, dalla sua penna. Altro che confidenze e cenette, altro che affarucci, nomine, siparietti. E raccomandazioni a papi.

Quanto all’oggi, invece, prende spunto dallo ieri. E sullo ieri non è stato detto un bel niente. Finora.