Io penso popolare

17/10/2009 alle 10:21.

IL ROMANISTA (G. MANFRIDI) - Vorrei far seguito all’articolo apparso su pagina 4 di questo quotidiano in data 13 ottobre e dedicato al lavoro che sta facendo Walter Campanile per dare base di chiarezza al progetto dell’azionariato popolare: per liberarlo dalla prigionia dal sogno, mi verrebbe da ripetere parafrasando ciò che disse Dino Viola all’indomani del secondo scudetto. A toccare l’argomento nella speranza di dargli corpo non si può prescindere da quanto letto ieri a firma di Stefano Petrucci e Luca Pelosi.


che disse Dino Viola all’indomani del secondo scudetto. A toccare l’argomento nella speranza di dargli corpo non si può prescindere da quanto letto ieri a firma di Stefano Petrucci e Luca Pelosi. dal primo, per estratti: «Decreti ingiuntivi e pignoramenti. Indirizzati, ed ecco un’altra novità, a tutte le controllate di Italpetroli:


anche a quella Roma 2000 che controlla direttamente la AS Roma… Una decisione clamorosa, che di fatto sposterebbe l’intero controllo del gruppo, e quindi della Roma, totalmente nelle mani di Unicredit», e, a chiusura del pezzo, nelle ultime righe, la schiettezza si un allarme che non ammette dilazioni: «Di sicuro bisogna fare in fretta». A eco, citando dal secondo: «Siamo ai minimi storici… Dopo anni passati ad attendere piani di rientro, la situazione sembra giunta a un punto di non ritorno». Semplice e netto. L’emergenza, dunque, deve essere a (mal) diritto contemplata tra gli elementi da tener presente – ora, subito! - nel valutare le mosse da compiere dato il frangente in cui ci troviamo.

Più volte, negli anni passati, “Il Romanista” ha indagato nel concreto l’ipotesi dell’azionariato popolare per misurarne il dato utopistico in rapporto alle potenzialità concrete. Contestualmente, anche Max Leggeri, dai microfoni della sua radio, ha parlato a varie riprese, con l’ausilio di elementi tecnici alla mano (note sia economiche che legali), di pubblic company mostrandone l’evidente, pur se ardua, effettuabilità. Ora, Walter Campanile, in momenti di stress finanziario e di legacci creditizi e di funesti ultimatum, ripropone con passione l’idea. Questa passione ha voluto comunicarmela cercandomi e coinvolgendomi in un incontro illuminante di cui lo ringrazio, e che, per conto mio, è destinato ad avere un seguito. Sulle prime, la nostra poteva sembrare una riunione di cospiratori, di animosi golpisti dal fiato corto (non eravamo solo io e lui, ma il riserbo mi costringe a non aggiungere nomi). Poteva sembrare una roba carbonara per appagarsi di un fomento velleitario senza prospettive. Nient’affatto. Si sono valutate cifre, comparate situazioni, censiti i considerevoli riscontri offerti dalla rete. Soprattutto, come lo stesso Campanile ha ribadito nell’intervista pubblicata martedì scorso, nulla è stato concepito in opposizione a realtà presenti, nessuna voglia di fare tabula rasa o roba del genere, nessun ringhio anti-Sensi. Non più, poiché non è più il caso, o va a finire che da certi ringhi ne verrà fuori solo un isterico hobby, frustrante e basta. Ci preme la Roma. Qualcosa che viva, e non qualcosa che estingua. Piuttosto, si è fatto il punto su una situazione in atto, forte di risultati già prodotti e intesa a strutturare una nuova forza economica che possa contribuire a distaccare il prima e il più possibile le sorti dell’AS Roma da questioni amministrative collegate ad altre aziende (e ancora rimando al già citato Petrucci); a emanciparla da deficit che, con rapidità crescente, ne stanno prosciugando le risorse bloccandone la crescita futura. Non sto dicendo che la strada dell’azionariato sia l’unica panacea per dare una sterzata alle attuali, perduranti difficoltà, ma che sia una strada possibile, questo sì, e il fatto che non si tratti di una strada facile da scorgere a colpo d’occhio non deve significare una rinuncia precoce a percorrerla. Le mappe la contemplano.

E’ stato detto che ogni grande viaggio comincia con un piccolo passo (luogo comune, ma Dio benedica i luoghi comuni: dicono sempre la verità!). In questo caso di piccoli passi ne sono stati già fatti tanti, e tutti in progressione. Per cominciare, sono state accumulate informazioni inoppugnabili, e poi è stata attivata una macchina virtuale (il sito, col suo ramificato reticolo di link) che attende di essere trasferita in una dimensione visibile. Certo, sgomenta il pionierismo che differenzia un’impresa simile, se tentata in Italia, da quanto potrebbe avvenire (e da quanto è avvenuto) in altre culture calcistiche come la Spagna e l’Inghilterra, assai più aggiornate della nostra. Ma su quanti scenari, in quanti campi, scopriamo che a voler operare nel nostro Paese si è costretti a fare la parte, spesso temeraria, degli sperimentatori? In ultimo, il logo: un cuore (giallorossso) che si risolve graficamente in una stretta di mano (giallorosso), e viceversa: dalla stretta di mano emerge il profilo di un cuore. Anche qui vi è intelligenza. Nel modo in cui si è voluto raffigurare la forza collaborativa che dovrebbe intercorre dall’uno all’altro allorquando si è avvinti dai medesimi sentimenti. Suggerisco che i nostri lettori facciano sapere in quanti fra loro si sentono di partecipare all’appello di chi vede nell’apparenza del sogno qualcosa che possa svilupparsi nella realtà. Io mi ci iscrivo.