Il sostituto di se stesso

13/10/2009 alle 09:30.

IL ROMANISTA (G. MANFRIDI) - Parliamo di portieri. Ne abbiamo sfoggiato un’intera squadra che a poco è servita per aiutare la vera squadra. Siamo a un passo dal record, se già non lo è. Qualcuno per cortesia si informi! Tre nelle prime sette giornate, col quarto che senz’altro, incrociamo le dita, scenderà in campo entro la decima (se non alla prossima). Laddove per quarto intendiamo naturalmente il primo, colui la cui assenza ha prodotto una sfilza quasi emorragica di pretendenti al ruolo. Senza dire che lo stesso Doni ha già fatto da sostituto a se medesimo per un buon tratto del campionato scorso sistemandosi ..



Artur è grande e grosso, ma farraginoso nei movimenti e con un basso grado di reattività. Copre la porta, ma in modo inerte. Non schizza, si muove. Mi pare solido sotto il profilo psicologico, ma la cosa è di sostegno soprattutto a lui, nel senso che non si abbatte e quel che gli vien dato lo accetta di buon grado senza preoccuparsi troppo di una reputazione non propriamente accresciuta dalle sue apparizioni in serie A.



Julio Sergio, per contro, dà la sensazione di essere molto più atletico. Vola di qua e di là e ogni tanto fa capriole prodigiose per intercettare palloni che, a ben vedere, entrerebbero a mezzo metro dal palo. Lui la porta la copre pochissimo. Una questione di volume fisico. E’ piccolo. Lidholm diceva di Quintini, ancora più piccolo di Julio Sergio: «Che problema c’è? Francesco è abituato a essere basso. Lo è da quando è nato». Una battuta per esorcizzare un limite obiettivo che si faceva beffe finanche di un talento formidabile. Bertagnoli (che è sempre Julio Sergio; non solo abbiamo tanti portieri, ma anche portieri con tanti nomi!) ha esordito in giallorosso con una grande smanacciata su Amauri. Noi tutti lo abbiamo applaudito entusiasti, ma quel balzo pieno di buoni auspici rimane a tutt’oggi la sua unica vera gemma. Anche il debuttante Curci, al suo prino intervento, si disbrigò alla grande facendoci sentire non più ostaggio di Pellizzoli, reduce da una spanzata a Firenze giunta a corollario di innumerevoli non miracoli (la papera può essere rara e di tutti, ma il “non miracolo” sistematico fa di un un non ). Peccato che Gianluca (idolo di mio figlio Lele, e anche perciò seguito da me con estremo affetto) abbia poi preso gol sul calcio d’angolo conseguente a quella bella parata inaugurale. Di lì, un percorso non più in ascesa. Perlomeno da romanista. Spero che in terra toscana


trovi una sua identità definitiva capace di portarlo in auge ai massimi livelli. Tifo per lui.



lo ricordo efficacissimo contro di noi al Franchi qualche anno fa. Curioso che a trafiggerlo sia stato Cufrè, ma il gol dalla firma impensabile lo può beccare pure Buffon. Personalmente, se avessi dovuto stilare le pagelle di
, al rumeno avrei messo “ng”. Quel che ha fatto, anzi: che non ha fatto, sul pallone raspato da Lavezzi e che gli è strusciato sotto i polsi vuol dir poco. Che sia uno da “non miracoli” ancora va stabilito. In molti hanno cercato di valutarlo da come si è comportato nel prosieguo dalle partita cavandone addirittura indicazioni positive. Ma cosa avrebbe dovuto fare? Andare a prendere il pallone e buttarselo in rete da solo? Va bene, ha sfarfallato dopo pochi minuti. Non lo crocefiggo per questo, tutt’altro. Si è esposto all’Olimpico in un precario stato di forma e sapendosi inadeguato al momento, basta questo a valergli il mio massimo rispetto, ma nemmeno lo riabilito per non essersi fatto prendere da una crisi depressiva a vista. Non giudicabile, appunto, e se a San Siro dovesse toccare di nuovo a lui, ne seguirò la partita prescindendo da quell’infortunio.




E rieccoci, infine, a Doni, per cui invece stravede il mio maggiore, Lori (portierino in erba come Lele, e come decenni addietro fu il sottoscritto). Se il capitano ci ha mosso a emozioni forti resistendo mezz’ora con un ginocchio stretto da bende, il grazie che tutti gli abbiamo tributato ritengo debba essere della stessa qualità del grazie che si è meritato Doni, che è un grande, lo affermo con convinzione. Il Doni vero non è il che, generoso quasi sino all’autolesionismo, ha fatto da sostituto a se stesso, ma il delle undici vittorie di fila, di quel lungo periodo lì. Il Doni vero è quello che rivedremo. Fra i primi tre della serie A. E non mi importa che gli altri due siano giudicati per acclamazione i più forti al mondo. Il tifo si nutre di affetti miscelati alla stima. Io Doni non lo cambierei nemmeno con Buffon. Nemmeno con Julio Cesar. Sono matto? No, romanista.