Daffinà: "Come fa Rosella a non vendere?"

15/10/2009 alle 09:47.

IL ROMANISTA (M. MACEDONIO) - La trattativa ci fu e arrivò a un passo dalla sua conclusione. La conferma viene da Alessandro Daffinà, amministratore delegato per l’Italia di Banca Rothschild, che di quella vicenda legata al nome di Soros fu testimone e protagonista. Tanto da rimanere deluso, al pari di tanti tifosi, della mancata riuscita del piano che aveva visto il proprio gruppo in veste di advisor insieme a Inner Circle. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, Daffinà ha certamente voglia di parlare della Roma, di cui è tifoso da sempre, ma molto meno di quella vicenda. ..



Innanzitutto, Daffina o Daffinà?


«Con l’accento sulla a. Anche se, avendo vissuto a lungo negli Stati Uniti e in Inghilterra, dove l’accento non esiste, per i colleghi ero e sono rimasto Daffina».



Romano, 50 anni, oggi trapiantato a Milano,Alessandro Daffinà è tra i dieci che verranno insigniti  dell’onorificenza di Cavaliere della Roma, il 7 novembre a Palazzo Valentini. Una passione da bambino.

«Le dico solo che, a dieci anni, quando feci la Prima Comunione, che allora – era il 1969 – si celebrava insieme alla Cresima, il mio padrino mi chiese se volessi in regalo un orologio. “No – gli risposi - voglio la tessera della Roma!”. Fu così che cominciai  ad andare allo stadio. Ricordo la Roma con Pizzaballa in porta. E quella con Capello, Spinosi e Landini, prima che venissero ceduti alla . Quell’anno ricordo anche il derby di  Coppa Italia con i minuti finali al buio. Le posso anche recitare una formazione-tipo del ‘70/71: Ginulfi; Scaratti, Petrelli; Salvori, Bet, Santarini; Cappellini, Del Sol, Zigoni, Cordova, Amarildo. Altre testimonianze? Il giorno  di Lione-Roma, nel 2007, eravamo a pranzo, io e un amico, romanista anche lui. Ci siamo detti: quanto dista Lione? Quattrocento chilometri. Bene, partimmo in macchina, quel pomeriggio, e tornammo a Milano alle 3 di notte, dopo la gara. Guardi: l’esame da romanista lo passo sicuro…».




Una passione conservata anche quando era negli States?

«A New York, aspettavo la domenica mattina. Alle 9, in tv, davano un tempo di una partita del campionato italiano. E la speranza, ogni volta, era che fosse della Roma. Sono rimasto lì dall’87 al ’90 ma, purtroppo, davano quasi sempre il Milan. Ho poi vissuto a Londra, dal ’90 al ’96. E dal ’92 sono in Rothschild».



Una banca d’affari tra le più prestigiose del mondo, al cui nome si lega anche quello della Roma. Cosa non ha funzionato, gli chiedo, nella mancata acquisizione della società da parte di Soros? Cosa ha fatto sì che  quella trattativa non andasse in porto?

«Sinceramente, vorrei non parlarne. Quello che posso però dirle è che la nostra banca ha una forte  specializzazione calcistica. Si è occupata infatti di , Liverpool, Manchester Utd, Lione. E, in Italia, del tentativo di quotazione del Milan. Posso aggiungere che è noto che Rothschild rappresentò, insieme a Inner Circle, il gruppo Soros nella vicenda a cui fa riferimento. Ma, come detto, non vorrei parlarne».




Sappiamo per certo, anche attraverso le dichiarazioni di Inner Circle, che con la mancata definizione di quell’accordo andò in fumo il lavoro di un anno. Tanti soldi persi, insomma…

«E’ il rischio del nostro mestiere…».



A Roma, come sa, quell’affare sfumato ha lasciato tanta delusione tra i tifosi.

«Non lo dica a me!...».



Continuerà a seguirla, la squadra?

«Certamente, ma oggi solo da tifoso. Che idea mi sono fatto della Roma attuale? Il calcio è sempre più uno sport che richiede grandi risorse e grandi investimenti. E penso che, ahimé, sia difficile per una famiglia, come la famiglia Sensi - che pure ha dato tanto, nel senso che di soldi, diciamolo pure, ne ha investiti tantissimi nella Roma - far fronte a qualcosa che…».



…Di investimenti ne richiede forse di più?

«Per me, è un impegno sovrumano. Sovrumano. Perché i tifosi chiedono sempre di più, non è che si  accontentano del quinto posto con la squadra che gioca bene. Il tifoso vuole vincere, no? Soprattutto a Roma. E questo è conciliabile solo con un gruppo che ha voglia di spendere… Se uno vuole invece economizzare,

sempre 20 milioni l’anno gli costa… E quando questo è talmente aleatorio da dipendere dall’ingresso o meno in … Insomma, vedo questo tipo di business talmente difficile che, se fossi Rosella Sensi, due domande sul tenerlo me le farei. Senza voler entrare nel merito dei conti della Sensi, io personalmente


metterei all’asta la società cercando di spuntare il prezzo più alto possibile».



Come valuta l’interesse attuale, anche di tanti soggetti, intorno al discorso stadio?

«In Inghilterra avere uno stadio proprio può comportare una crescita dei ricavi tra il 30 e il 40%. Parliamo di ipotesi in cui lo stadio è di proprietà della società. Perché se lo stadio non è di proprietà, non ne parliamo nemmeno… In sintesi, se c’è la possibilità di costruire uno stadio che sia effettivamente della Roma, la convenienza c’è. Altrimenti, no».