Altro che Patton, questo è Don Abbondio

28/10/2009 alle 09:17.

IL ROMANISTA (S. PETRUCCI) - Et voilà, ladies and gentlemen: all’alba del cinquantasettesimo giorno di Roma, anche il conducator Claudio Ranieri alzò le braccia. Tracciando urbi et orbi, a un passo dal delicatissimo viaggio a Udine, un quadro a dir poco inquietante: difficile, se non impossibile, plasmare una squadra non sua. Visto come stiamo messi, meglio firmare subito per il quarto posto.


di sicuro lo pensa); l’assenza di non deve costituire un alibi per i compagni e nemmeno per l’allenatore, però certo è un bel problema.


Insomma, Claudio Ranieri prende le distanze da una squadra che, prima ancora che perdere vistosamente i pezzi, ammette di non sentire minimamente appartenergli. E allora, se non si arrende come un mese fa ha già fatto Spalletti (più o meno per le stesse ragioni), mette i puntini sulle "i".

Lavoro, mi assumo le mie responsabilità, ma non sono

un mago, non ho la bacchetta magica. Non pare interessargli il rischio di veder trasfigurare la sua immagine

da generale Patton in quella di un qualsiasi don Abbondio.

Sembra pensare soprattutto a sé stesso, a dribblare il rischio di passare dal ruolo di salvatore della patria

a quello di incapace, magari dimenticando che molte delle cose che lamenta oggi - l’invecchiamento della

squadra, la sopravvalutazione di diversi elementi, l’impossibilità di intervenire sull’organico, le difficoltà a rivitalizzare atleticamente un gruppo spremuto e preparato da altri, la carenza di quattrini e di organizzazione

societaria - doveva conoscerle alla perfezione già cinquantasette giorni fa. Quando, pure, non ci pensò due

volte ad accettare la considerevole proposta del club, 2,3 milioni di euro lordi per la stagione in corso, 3,7 per quella 2009-2010.

Lo ha fatto perché tifoso della Roma da sempre, ha ripetuto più volte in queste settimane. Più probabilmente,

lo ha fatto soprattutto perché è un professionista, perché gli mancava il contatto con il campo (non lo stipendio, che percepiva ancora dalla ), perché l’offerta gli arrivava finalmente da una grande piazza. Al


momento di presentarsi a Trigoria, il primo di settembre, aveva risposto con un sorriso a chi gli chiedeva che

squadra pensasse di allestire: datemi il tempo di vedere i giocatori.

In realtà sapeva che guasti avrebbe trovato. Aveva seguito le vicende della Roma, sia pure da lontano, con

molta più attenzione di quanto riconobbe al primo impatto.

Prima ancora che con i proprietari della società, aveva avuto modo di confrontarsi serenamente con Spalletti, che gli aveva tracciato un quadro fedele della situazione. E aveva parlato a lungo soprattutto con Bruno Conti, che conosce da una vita. Forse, si anche era illuso - con quel minimo di presunzione che colpisce spesso chi sa il fatto suo - che rimettere le cose a posto sarebbe stato meno complicato.

Di sicuro da quel momento in poi il suo atteggiamento è cambiato giorno dopo giorno. Prima ha preso di mira

la disorganizzazione di Trigoria: i campi degni della spiaggia di Castelfusano, altre gravi carenze strutturali

(il settore sanitario, ad esempio), l’assenza di una figura di raccordo tra la squadra e la società. Poi ha fatto intuire di non essere soddisfatto dei comportamenti di alcuni giocatori in allenamento, né della generale tendenza del gruppo a inseguire un’identità - di gioco e di mentalità - ormai smarrita. Ieri, si è espresso con chiarezza inequivocabile sulla sua idea di squadra: non l’ho costruita io, non posso plasmarla a mio piacimento.

Un’altra società, altro che ottimizzazione delle risorse umane, gli chiederebbe subito conto di questa vistosa

presa di distanze. Ma questa è la stessa Roma che ha consentito a Spalletti di trattare con il Chelsea, e un anno dopo per la , preoccupandosi solo di tenerlo buono e tranquillo a guardia del bidone (anzi, di diversi bidoni), senza cogliere in quelle vicende il segnale di una storia finita; che non è mai intervenuta quando l’architrave dell’intera struttura tecnica di una squadra logora e impoverita, vale a dire l’insostituibile capitano
, prima con Spalletti poi con lo stesso Ranieri è diventato bersaglio di spallate in gran parte gratuite e comunque particolarmente sgradevoli in una fase di discussione di rinnovo contrattuale (non a caso sempre rinviato); che a distanza di quattro anni e mezzo dal divorzio da Franco Baldini, anche su sollecitazione di Ranieri, s’è finalmente accorta che i quadri dirigenziali andavano potenziati e che comunque ha provato a farlo ingaggiando, per la "gioia" soprattutto di Bruno Conti, già primo riferimento dell’area tecnica, il re della pallavolo.


In questa situazione, e con questi presupposti, la Roma gioca stasera a Udine, contro una squadra che viene

da tre sconfitte (ma anche contro una società-modello). Dovrà farlo nella consueta desolante emergenza: con gli acciaccati che sappiamo forzatamente in campo e senza , Pizarro, Riise, Menez e persino Burdisso, bloccato all’ultimo istante da un fastidio al polpaccio sinistro. Facciamoci il segno della croce. Almeno pregare


possiamo permettercelo: non costa niente.