IL ROMANISTA (S. PETRUCCI) - Una furtiva rotula e via. Senza troppa vergogna, perché ben altri scippi ci è toccato subìre in oltre ottantanni di storia, altro che un calcio dangolo più o meno regalato a un soffio dalla fine di un orribile match. Ma anche senza grande gioia, visto che il calcio - e pure la Roma, almeno fino a non molto fa - è di solito unaltra cosa.
Niente di clamoroso al Cibali, se non la pochezza della nostra squadra sparita tra equivoci nuovi e antichi, mollezze e superficialità, carenze e invecchiamenti. Unorchestra che ormai presume, più che eseguire, salvata nel finale dal tocco di ginocchio di De Rossi, sullunica conclusione a rete di un Francesco Totti che sognava probabilmente di regalarsi ben altro per il suo trentatreesimo compleanno. Uno a uno, per la
rabbia dei siciliani e la nostra felicità contenuta anche per pudore; secondo pari a tre giorni da quello di Palermo, un altro punto buono solo a rimpolpare una classifica né carne né pesce. Oggi magari qualcuno vi racconterà di una Roma cinica e spietata, brutta a vedersi quanto pronta a bruciare lavversario al primo errore. Noi proviamo a essere più seri, salvando di un pomeriggio calcisticamente da tregenda solo la sconfitta
scampata quasi allultimo secondo e il formidabile effetto C mostrato complessivamente da Ranieri,
allenatore che se non altro non perde. Mai guai a illudersi che il peggio sia alle spalle. O a credere che ci si possa affidare alla buona sorte senza soluzione di continuità: se è vero, come diceva Napoleone, che un generale fortunato è spesso migliore di uno bravo, è ancora più vero che non si deve esagerare. Il culo conta nel calcio come nella come nella vita, ma prima o poi finisce. Irreparabilmente.
Prendiamoci pure il punto, ci mancherebbe: ma non dimentichiamo in che modo è arrivato, in cima a quale prova, attraverso quali indicibili sofferenze. La verità è che la Roma - ieri tornata per gioco e consistenza agli infimi livelli di Basilea - non solo non è guarita dai suoi mali, ma di questo passo rischia di convincerci (e di convincersi) che questi mali siano addirittura incurabili.
Oddio, con buone probabilità Ranieri e il tempo ci restituiranno via via un Mexes meno jellato e meno svampito, un Motta più attento, un Brighi e un Perrotta più tonici, un Totti meno stanco, un Pizarro e un De Rossi più brillanti. Forse, prima che questa stagione precipiti del tutto in una mediocrità di chiaro stampo roselliano, riusciremo anche a rivedere Doni tra i pali e un Baptista che somigli un po di più al suo feroce nomignolo. Ma lì finisce. Nessuno riuscirà mai a far diventare veloci Juan e Riise, o Julio Sergio grande e grosso come dovrebbe essere un portiere moderno, o cattivo Vucinic, o fresco come una rosa Taddei, o i giovani del "progetto" di Rosella (ma solo suo) capaci di far compiere alla squadra il salto di qualità che lavrebbe riportata in alto, in un campionato oggettivamente non sovraffollato di fenomeni.
Nessuno, soprattuto, potrà restituire giovinezza e risorse illimitate a Francesco Totti, ancora una volta specchio della realtà romanista: se si ferma lui, si ferma la squadra. E un caso che, a capo di un pomeriggio di rara mosceria, il suo unico tiro a rete - tra laltro deviato con un tocco da rigore da un difensore catanese - abbia innescato la rapinosa deviazione di De Rossi? Altro che insulse discussioni su un contratto che, se non rinnovato, segnerebbe la fine di una Roma per tanti versi già al tramonto. Totti andrebbe tutelato come un panda, spinto a selezionare gli impegni, convinto a centellinare le energie. E, in prospettiva, affiancato da un possibile erede, da un talento più vivace e credibile di Menez, da un giovane (non quelli riportati in estate a Trigoria, anche per evidente assenza di richieste) capace di tornare a infiammare un ambiente, di convincere
un gruppo che i futuri investimenti della società non riguarderanno solo il cemento e il titanio da rovesciare alle falde di Colle Aurelio.
Ma chi è nelle condizioni di farlo? Chi ne ha le possibilità, chi la lucidità, chi la competenza? Nel frattempo, evitiamo con cura di cullare pericolose illusioni. Senza prospettive progettuali certe, e senza un euro, la Roma è e rimarrà questa. In grado di regalare qualche guizzo, di agguantare qualche colpo di fortuna, di riscoprire
quà e là la classe dei suoi primattori, ormai sempre meno numerosi e comunque in larga parte logori. Il gruppo uscito dal non-mercato estivo - e sempre sia lodato Moratti per lennesimo regalo (Burdisso) - andrà inevitabilmente incontro ad avvilenti alti e bassi, afflitto dai suoi pregi (in molti casi ormai soprattutto teorici) e i suoi non pochi difetti. E sarà bene che se ne rendano conto tutti, in una città che anche ieri sera, senza
troppo di interrogarsi sul vero significato dellagghiacciante prova di Catania, pareva piuttosto concentrata - secondo antico vizio - ad analizzare i difetti altrui, ipotizzando la solita fantasiosa rimonta: visto che figura, Inter e Juventus? E il Genoa, che pareva irresistibile? E la stessa Fiorentina, già strapazzata allOlimpico, in fondo
sin qui che cosa ha fatto? Se poco poco ci rimettiamo in sesto, chi ci toglie "almeno" il terzo posto? E la moda cittadina, ahinoi. Quella seguita con desolante applicazione da chi, ignorando o volendo nascondere i propri, punta sempre a consolarsi con i problemi altrui. Tipo: lItalpetroli è un buco nero? E perché non parliamo della
Saras di Moratti? La Roma non ha comprato nessuno? E il Milan, che ha venduto Kakà?... Già: come se chi ha le corna potesse consolarsi vedendo la moglie del vicino abbracciata ad un altro.
Noi, che preferiamo concentrarci sulle faccende di casa nostra, perché in genere degli altri nulla ci frega, vorremmo invece che il tifoso romanista evitasse di distrarsi ficcando il naso altrove. In questo senso, ci è parso un significativo epitaffio il commento finale di De Rossi, luomo della rotula-gol che ha fatto saltare i nervi al Catania:
«Siamo un ibrido: inseguiamo ancora il gioco di Spalletti, senza avere più la capacità di applicarlo, non riusciamo a dare corpo a quello di Ranieri, che vorrebbe unaltra concretezza e unaltra determinazione». Chiaro? Se non lo fosse, si può provare a cogliere altri segnali di grande chiarezza proprio nelle parole del tecnico arrivato solo un mese fa: «Credo proprio di aver capito qual è il problema di questa squadra. Ma a
volte ci sono difetti che non si possono raccontare pubblicamente». Non serve un esperto in sanscrito per tradurre le sensazioni di Ranieri, che da giorni ha ripreso a battere duro sugli stessi tasti toccati dallultimo Spalletti: il Dna di un gruppo fatalmente ispirato alla mollezza, il fioretti sempre preferito alla clava, la presunzione di chi molto chiede e pochissimo a dato, sudando il minimo in allenamento per poi offendersi
se spedito in panchina o in tribuna. La convinzione che quella che era una forza sia ormai una malinconica somma di debolezze, in campo e fuori. Ranieri sembra aver capito in fretta. Speriamo riesca a illustrare la sua analisi nel chiuso di Trigoria, ammesso trovi qualcuno disposto ad ascoltarlo, prima ancora che a capirlo. Da settimane, alla Roma non si parla che di stadi, di studi urbanistici, di centri commerciali, di nuovi quartieri, di titanio. Potrà il povero Claudio trovare udienza, tra una conferenza-stampa e un incontro con i rappresentanti delle istituzionilocali? Chissà. Nel frattempo, assistiamo sempre meno allibiti allennesima pantomima: la Roma tecnicamente più povera degli ultimi anni sta per annunciare la costruzione di un nuovo spettacolare
impianto sportivo. Conta poco quando questo potrà vedere realmente la luce, né quale squadra potrà mai calcarne lerba. Conta il business, conta linteresse di chi usa una proprietà come uno scudo, con arroganza pari solo allincapacità dimostrata. Ma a te chi ci pensa... povera Roma?