
IL ROMANISTA (G. DOTTO) - Quando lamico Riccardo (Luna) minforma che il giornale torna in edicola, esulto. Non sarà la prova dellesistenza di Dio, ma poco ci manca. Blasfemo? No, romanista. Nel momento in cui la Roma affonda, parola di Rosella, è indispensabile che almeno il Romanista viva. Quando poi lamico Riccardo mi chiede di dargli una mano, esulto due volte.
Che condivida il piacere assoluto di giocare in piazza la sua passione, incrociandola con quella di chi ci legge. Perché rinascere è mille volte più impegnativo che nascere. Se rinasci, e non è la solita metafora che bella ti veste, ma rinasci davvero, dopo essere stato almeno una volta morto, evaso dal tuo sudario, dopo avere conosciuto il tanfo della morte e lallegria neanche troppo simulata dei becchini, beh allora sono cazzi e razzi, miracoli di cui parlare da qui al dodicimila. Se rinasci, e non è la solita metafora che bella ti veste, ma rinasci davvero, dopo essere stato almeno una volta morto, evaso dal tuo sudario, dopo avere conosciuto il tanfo della morte e lallegria neanche troppo simulata dei becchini, beh allora sono cazzi e razzi, miracoli di cui parlare da qui al dodicimila.
A una condizione, dico e mi dico: rinascere nello stesso corpo e nella stessa carta. Ripartire più forti da dove il giornale aveva lasciato. Dallepica del romanista. Siamo tutti figli di unepica maggiore o minore. Che sia Woodstock o il generale Custer, Bob Dylan o Madre Teresa, Jimi Hendrix o Giacomino Losi e nelle sue fantasiose reincarnazioni, via via il passo felpato di Santarini, la cupezza guerriera di Agostino, le sintesi lucenti di Peppe e quelle folgoranti di Francesco, fino al Daniele De Rossi di oggi, summa di tutte le anime e di tutta la storia dellincendio giallorosso, dal 1927 a oggi. Epica da stadio, quando divino era il Dante della Sud.. Da allora, domenica 1 marzo, ne sono accadute di cose e di traumi. La più traumatica: non cè più Luciano Spalletti.
Luomo si riconosce da come esce di scena, scena in quanto vita ma anche in quanto Trigoria. Da come abbandona le cose che lo abbandonano. Laddio di Spalletti è stato di assoluta e persino straziante dignità. Luomo, che in questi quattro anni aveva spesso mostrato i muscoli, sopra e sotto le righe di un carattere per niente facile, ha mostrato nelloccasione il più importante e il più nascosto dei muscoli, quello cardiaco. Ne sono accadute di cose. E arrivato Claudio Ranieri, con la sua bella faccia cesarea e lalone testaccino. Un Mazzone più forbito, che mette in croce le braccia invece che rotearle come mazze ferrate, meno sulfureo ma solo allapparenza. Che dentro, labbiamo capito, la torcia è viva, la miccia accesa. Limpresa durissima di arrivare proprio nel momento in cui i tifosi e i giocatori scoprivano quanto in realtà fossero legati al loro Luciano, dentro uno spogliatoio sfiduciato e ora anche depresso. Tra proclami tranchant (Scordatevi il bel gioco) e gaffe spassose (La Roma? Un incidente improvviso), il debutto in conferenza stampa non fu un granché.
Da allora, sul campo, ha lavorato bene. Martellando e rassicurando. Ha ridato a una squadra la voglia di tornare ad essere gruppo, di esultare per le vittorie e di mortificarsi per le sconfitte. Molte cose vanno ancora aggiustate, ma nel fango di Palermo i gladiatori cerano, eccome. Burdisso, lultimo arrivato, uno di questi. Al di là dei risultati, il malessere dei tifosi si ascolta, si legge, si tocca, si respira. Nelle radio, nei blog, nei bar. Non ne ricordo uno così acuto e strisciante. E un dolore subdolo.
Cè chi lo esprime con linvettiva, chi lo implode nello scoramento ai confini del languore. Il Romanista che rinasce vuole interpretarlo, questo malessere, dargli voce e profondità. Raccontare i problemi con le parole giuste è già un modo per contribuire a risolverli. Tempi cupi. Si è dimesso Spalletti. Il rischio è che ora si dimettano i tifosi. In parte, già accade. Nelle cifre degli abbonati, nelle presenze allo stadio, nella diffusa caduta degli umori. Il tifoso romanista, incredibile, sta scoprendo che persino la sua pazienza ha un limite. Si risponde alla Woody Allen. Che sogni hai nel cassetto? Solo mutande e calzini. O alla Paul Valery. Il mio domani? Oggi non vedo niente che implichi un domani. Ha bruciato le sue migliori energie a fantasticare una Roma e dunque un mondo migliori. Dallautofinanziamento al lauto finanziamento. Sedute spiritiche di massa. Soros, Padre, perché ci hai abbandonato? Angelini, please, batti un colpo. Non dissolverti anche tu. Guarda caso, due volti antichi, da patriarchi. Conclamata o silenziosa, quella contro Rosella Sensi, non è solo la rivolta contro la peggiore presidenza di 82 anni di storia, nella sua rara capacità di combinare inesperienza, difetto di risorse, deficit comunicativo, unito alle modalità sprezzanti del carattere. Che emergono a ogni istante, tra le pieghe dei disastrosi copioni che le forniscono i suoi due convitati di pietra. Il vero disagio dei tifosi è nel percepire la sua drammatica inadeguatezza a interpretare cosa voglia dire essere il leader di un fenomeno parareligioso come la Roma. Che il padre invece, per non parlare di Dino Viola, incarnavano con istinto naturale. Pessima quando tace, catastrofica quando parla. Affidare la comunicazione di una malattia tutta sangue e arena come è la Roma prima a veline e poi a dichiarazioni stile Pravda, dove la sintesi vorrebbe trasmettere energia e invece trasmette solo povertà, significa essere spaventosamente lontani dal cuore del problema. Dal cuore e basta.
Organizzare conferenze stampa iperprotette in cui distribuisci moine e vezzeggiativi a destra, stizzosi colpi di coda a manca, vedi giornalista dissenziente, significa confessare platealmente una doppiezza fin troppo facile da decifrare. Le sue ultime infelicissime uscite. Su Spalletti (Mì ha sorpreso che ha abbandonato la nave), sui tifosi (Loro contestano sempre). Dottoressa Sensi, il problema oggi non è chi abbandona la nave, ma chi si ostina a restarci sopra. In quanto ai tifosi, degradarli, questo è il significato, a un gregge dai comportamenti seriali per non dire pavloviani, non è roba da presidenti della Roma. E comunque, quanto a questa presidenza, vi rimandiamo alla pagina interna dei 100 colpi di Rosella (caritatevole approssimazione per difetto). Tanto per tenere sveglia la memoria. Il Romanista che rinasce, a dispetto di ogni pronostico, vuole essere anche il giornale di Rosella Sensi. Che rifletta, se vuole, se può, sul patrimonio di entusiasmo e dunque di risorse che sta bruciando. Il nuovo stadio non basta. Vecchio o nuovo, uno stadio non si riempie di numeri, culi e tessere, ma di fegati, milze, polmoni, teste e cuori. Per il resto, noi tifosi la treccia, si fa per dire, labbiamo già calata da tempo alla finestra della soffitta in cui ci tengono reclusi. Qualcuno si faccia sotto. Abbiamo tanto da dare.