IL GIORNALE - Lintesa economica tra Roma e Tripoli, è alimentata da necessità reciproche, ma anche da interessi incrociati sempre più stretti. Tripoli intende approfittare del recente calo di Borsa per ampliare la propria partecipazione azionaria allestero in unottica di lungo. Oggi il colonnello possiede l1% del capitale Eni, ma è intenzionato ad aumentare gradualmente al 5, poi all8% e infine al 10%. E Palazzo Chigi ha già fatto sapere di non essere contraria.
La Banca centrale libica possiede già il 4,6% di Unicredit e segue con molto interesse laumento di capitale dellEnel. In settembre voleva comprare il 10% di Telecom, che ora viene considerata tra le grandi favorite per le commesse nel campo della telefonia.
Il finanziere Tarak ben Ammar ha affermato recentemente che «la Libia darà priorità allItalia per il 90% dei suoi investimenti allestero», che avvengono tramite il fondo sovrano Libyan Investment Authority, lo stesso che ha appena firmato un accordo congiunto con Mediobanca per la creazione di unfondo da 500 milioni di dollari da investire nelle aziende industriali italiane maggiormente colpite dalla crisi. E chi siede nelladvisory board della Libian investment Authority? Il numero uno della Pirelli, Marco Tronchetti Provera.
Il giro è chiaro: lItalia acquista ogni anno gas e petrolio libici per 17 miliardi di dollari, Gheddafi ha bisogno di diversificare gli investimenti finanziari e compra quote di società italiane, ma vuole modernizzare il Paese e si affida, prioritariamente, alle nostre aziende, tra cui anche quelle di cui è azionista. Labbraccio coinvolge le assicurazioni (con le Generali), il calcio (Tripoli potrebbe acquistare il 40% della Roma) ed è reso allettante da clausole fiscali e operative molto vantaggiose. Il Trattato di amicizia italo libico firmato da Gheddafi e Berlusconi prevede che Tripoli fornisca i terreni necessari per i lavori senza costi, nonchè materiale di costruzione a prezzi molto agevolati e forniture energetiche esentasse. Tappeto rosso, nel deserto.