
LA REPUBBLICA - Due stadi da costruire e tante chiacchiere; investimenti giganteschi - secondo Lotito ci vogliono 800 milioni - che Roma e Lazio, non propriamente Manchester Utd e Barcellona, non si sa come possano trovare; aree lontane dal centro e nemmeno definitive. Appena indicate col dito. Il tutto mentre l'Olimpico aspetta la finale di Champions e il Flaminio è ormai la casa del rugby: Roma e Lazio se ne vogliono andare, inseguendo il business all'inglese. Ma dove, quando e come?
La Lazio è più avanti, il progetto "Stadio delle Aquile" esiste ed esiste anche un terreno sulla Tiberina. "Cittadella dello sport con stadio, polo commerciale e alberghiero" ripete Lotito. E magari tante palazzine. Molti i contatti col Comune ma i dubbi restano. Il sindaco Alemanno, che molto si era speso in campagna elettorale sui nuovi stadi, aveva fissato al 30 aprile il termine per presentare i progetti di Roma e Lazio. Poi si è slittati al 10 maggio, dopodomani. "All'Urbanistica - dice l'assessore Marco Corsini - finora non abbiamo visto nulla. Il 10 maggio era un'indicazione stabilita in linea di massima dal sindaco...". Dunque si slitta ancora.
Il problema grave è la Roma: immobile, sospesa tra voci di vendita e crisi tecnica, assolutamente non in grado di programmare un progetto stadio. Se non ci sono soldi per il mercato figuriamoci 250-300 milioni per un impianto ultramoderno. Sia nella zona Centrale del Latte o alla Magliana, non propriamente in centro dunque.
Ma è anche vero che tra i costruttori romani ci sono molti tifosi della Roma e da qualche giorno serpeggia un'idea: affiancare concretamente la Roma - ove la società smettesse di chiudersi nel bunker - nell'individuazione dell'area, nella progettazione e nella costruzione dello stadio. Senza pretendere guadagni stratosferici, anzi senza guadagno o quasi: il dare e l'avere da regolare con un piano da studiare insieme. Nessun ingresso in società, ma un aiuto vero in un business che può risollevare la Roma. E dare poi alla città un nuovo importante centro di aggregazione.
"Mettiamoci insieme noi costruttori romani - dice Massimo Mezzaroma, presidente della M. Roma Volley, la cui famiglia fu già in società coi Sensi all'inizio, negli anni '90 - facciamo un business plan e affianchiamo la Roma secondo le sue necessità, costruiamo insieme lo stadio. Con un principio: non deve essere l'affare della vita, niente speculazione, non si punta al guadagno ma alla reputazione. Tutto sommato noi dobbiamo qualcosa alla città, possiamo così restituire in parte quanto ci è stato dato dai romani. Potremmo fare un pool noi costruttori, magari con l'Università e la Facoltà di Architettura per dare la possibilità ai giovani architetti di fare stage nei cantieri. La scelta della zona è vitale, infrastrutture, strade e trasporti sono fondamentali per la riuscita. A Londra gli stadi sono nel centro, ma c'è una metro eccezionale. Noi dovremmo costruire qualcosa di socialmente utile, senza mascherare uno stadio per edificare una città".
Mezzaroma rivela anche un particolare: "A ottobre 2008 siamo stati contattati da un istituto di credito per sapere se fossimo interessati all'ingresso nella Roma. Abbiamo detto no, abbiamo già dato nel '93". Se i Sensi dunque vogliono rimanere al timone hanno adesso un'altra strada da provare a percorrere. L'idea trova l'appoggio anche dell'associazione dei costruttori romani. "Noi siamo disponibilissimi a parlarne - dice il presidente Eugenio Batelli - Ci vorrebbero 3 o 4 anni: uno per l'individuazione dell'area e la modifica del piano regolatore, altri 3 per costruire un impianto da 50mila posti. Mi sembra però è impossibile trovare 30-40 ettari per un impianto del genere all'interno del raccordo anulare. Certo con questa crisi è dura mettere soldi in proprio, però troveremo sicuramente adesioni". Chissà se i giallorossi Toti e Caltagirone si faranno convincere...