
LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Per l'ennesima volta c'è qualcuno che indica la strada. Tutto sta nel seguirla e non perdere la bussola. Stavolta è toccato a Ranieri. In passato ci sono riusciti Mourinho, Spalletti, Capello, senza scomodare Liedholm. La Roma storicamente ha bisogno di un capobranco, che sia laureato in carisma e leadership o sia riconosciuto come genio della tattica. Qualcuno a cui aggrapparsi, che abbia carta bianca al netto del budget a disposizione per il mercato. Le scelte a metà, o peggio ancora le scelte naïf, pagano forse a breve termine, ma alla lunga rischiano persino di farti perdere tempo, perché alla fine sei costretto a richiamare il Ranieri di turno.
Ranieri, appunto. Dopo sette vittorie consecutive, al termine di un trimestre a ritmo scudetto, alla vigilia della partita con la Juventus suonavano le campane a lutto. "Ora arrivano le partite impossibili, finiremo ottavi". Che poi ottava la Roma può arrivare, ma il piagnisteo è sempre più urticante. La piazza che un tempo era accusata di entusiasmo ingiustificato, oggi prova a distinguere nella disciplina del pianto preventivo. Quel modo un po' piacione di votarsi al mai 'na gioia. Roba da meme. Roba da social, da mass media attraverso i quali caratterizzarsi. Ranieri, dicevamo. La Roma ha interrotto la serie di vittorie consecutive ma non è uscita con le ossa rotte dal match con la Juventus. Anzi. È viva. Evviva. Ha persino guadagnato un punto sulla terza. E se il Bologna perdesse col Napoli lo avrebbe guadagnato pure sulla quarta. C'è di peggio. Ha saputo reagire. Per niente scontato fino all'arrivo di Ranieri. In tanti erano convnti dopo il gol di Locatelli che fosse tutto finito. Ci ha pensato Ranieri, a cui Shomurodov dovrebbe pagare la provvigione e la pigione. Se soggiorna a Trigoria e diventa persino protagonista, lo deve a lui. Leader carismatico. Come i predecessori menzionati. Ciò che serve alla Roma. Un allenatore capobranco per carisma, oppure un leader assoluto della tattica a cui votarsi con convinzione devota.
Quell'allenatore non sarà Ranieri, nonostante continuino a chiederglielo. Fra i tecnici nominati per la successione, leader sono stati Capello e Mourinho. Ottavio Bianchi, bresciano di stanza a Bergamo, era troppo integralista nei rapporti ma ci siamo come categoria, perché due finali nella stessa stagione, una vinta l'altra persa con macchie arbitrali, non è roba di tutti i giorni. Nella categoria guru della tattica a cui consegnare le chiavi della carriera citiamo Spalletti, e nella sua prima era romanista anche Zeman. Poi? Buone ma fugaci esperienze, non del tutto convinte e neanche troppo convincenti. Oggi i leader sono Allegri, che da un paio di mesi avrebbe almeno la curiosità di conoscere il parere di Friedkin. E poi Conte e Ancelotti, due suggestioni più grandi delle news sul loro possibile arrivo. Poi ci sono le soluzioni di mezzo. Mica così brutte. Perché Pioli non è uno sbarbato alle prime armi, vanta uno scudetto e piazzamenti in Champions League guidando un'outsider, ha allenato nelle metropoli. Ma, seppur bravo a prendersi lo spogliatoio, ha bisogno di pazienza, di incastri. C'è anche Sarri. Tattica e identità, ok, ma in fondo a una lunga carriera ci si domanda se gli sia sempre mancato un soldo per fare una lira.
Facciamo un test. Provate a leggere ad alta voce: "la Roma di Pioli!" Fatto? Ora cambiate cognome, leggendo sempre ad alta voce: " la Roma di Sarri!". Ok, un'ultima volta: "la Roma di Allegri!". Che effetto vi fa? Notate le differenze?
In the box - @augustociardi75