Spalletti, uno dei tanti

30/06/2024 alle 13:26.
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LR24 (AUGUSTO CIARDI) – Il post partita dell'Italia fa pendant con la gara. Si prova imbarazzo ascoltando il nulla dialettico di Cristante che illumina sui perché del flop. Si riflette sul commento di Spalletti. Qualcuno dirà "chi glielo ha fatto fare?". Andare in Nazionale dopo l'impresa delle imprese confezionata a Napoli. Nazional popolare l'ex allenatore della Roma, ha fatto il salto della barricata. Era un rivoluzionario, è diventato uomo immagine. Dagli sponsor che gli hanno portato una sovraesposizione mediatica livello pro, come è normale che sia per un commissario tecnico. All'essere diventato "di tutti", anche di chi fino a pochi anni fa se lo dimenticava quando si stilavano le classifiche degli allenatori più bravi. Potenza del clamore. Si è annacquato, Spalletti. Ha perso spontaneità, mantenendo comunque quelle spigolature caratteriali che erano state spazzate via dall'esperienza in Campania, dove oggettivamente ha fatto un capolavoro. Spigolature che lo portano a guardare per terra quando si richiede interventismo immediato. Nel post match contro la Svizzera, ha fatto quello che fanno tutti gli allenatori. Ha cercato scuse. Pur dicendo che nel faldone del fallimento azzurro c'è pure il suo nome. E vedi un po'. Per il resto, ha puntato il dito contro il caldo di questi giorni (pensava forse di trovare una dozzina di gradi a Berlino in piena estate?), la stanchezza dei suoi (non penserà mica che albanesi, spagnoli, croati e svizzeri si siamo riposati in primavera), i limiti tecnici della squadra (e allora perché puntare tutto sul palleggio) e l'assenza di calciatori di gamba (e allora perché pensare di assumere un atteggiamento propositivo invece che cercare la via antica della conservazione?). Insomma, il guru (per molti) Spalletti è sceso nel sottoscala dove gli invasati del giochismo hanno relegato i vecchi e antiquati allenatori che badano al sodo. Anche Luciano Spalletti cerca alibi dopo le sconfitte. Che poi questa Nazionale sia debole rispetto al gotha del calcio è un dato di fatto. Ma lui con scelte pessime, cervellotiche e controproducenti l'ha resa inguardabile, impalpabile, senza identità, senza mordente. Non gli si può imputare la scarsa personalità dei presunti leader, perché quella non te la regalano gli allenatori. Doveva essere la Nazionale di Chiesa e Pellegrini, Donnarumma, Barella e Jorginho. Abbiamo visto il solito eccellente portiere, con buona pace della grande stampa nazionale che da quando il portiere ha scelto Parigi ha deciso di rinnegarlo per accondiscendenza perenne ai grandi club italiani. Abbiamo visto un decente Barella contro l'Albania. Per il resto, il campo ci ha mostrato un gruppo di calciatori che è grande soltanto nell'inchiostro di molte grandi firme nostrane, che per ingraziarsi i potentati calcistici spacciano il rame per oro. Al punto che una modestissima vittoria di misura, con brivido finale, ottenuta ai danni della ancora più modesta Albania, era stata descritta come una rimonta epica durante la quale erano emersi fragorosamente gli insegnamenti di Spalletti, esaltato manco fosse Rinus Michels o Alex Ferguson. Bravissimo allenatore, ci mancherebbe. Ma i top manager sono altri. Sono quelli che in tornei mordi e fuggi con il solo sguardo rendono più forti di ciò che sono calciatori in cerca di autori. Saranno rimasti delusi coloro che in Spalletti vedono non un allenatore ma un filosofo, un maestro di vita. Quelli che vanno in brodo di giuggiole quando il bravo mister toscano enuncia la banalissima frase "uomini forti destini forti, uomini deboli destini deboli". Delusi perché si aspettavano che facesse scudo partendo dal mea culpa. Invece, come tutti i suoi colleghi, sì ok sarà anche colpa sua, ma a Berlino c'erano trenta gradi, i ragazzi erano stanchi, non hanno gamba, peccano in qualità e poi oh, i miei predecessori hanno avuto molte più partite a disposizione prima di giocarsi una fase finale per nazionali. E la mente torna alla partita giocata lo scorso autunno contro l'Ucraina. Una specie di spareggio, con clamoroso errore arbitrale che negò agli ucraini un rigore solare. L'Italia di Spalletti si è qualificata grazie a quella roba là. E ci sta. Fa parte del gioco. Non ci sta che il giorno dopo, i grandi media nazionali invece di aprire discussioni sul presente e sul futuro del calcio italiano, si sono stretti a coorte per celebrare il sogno azzurro, come se quell'episodio non fosse esistito. Come sempre quando si apre la strada tortuosa del tema serio, si passa oltre votandosi al comodo populismo. Che però non viene più premiato. Perché nel 2024 le persone non pendono più dalle labbra e dagli editoriali delle grandi testate. E ora più di prima si capisce perché. Nazionale e informazione hanno perso forse irrimediabilmente credibilità. In tutto questo, Gravina non pervenuto. Chissà se spiegherà il flop epocale dando la colpa alla pirateria.

In the box - @augustociardi75

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