LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Per i tifosi della Roma, Daniele De Rossi è molto più di un allenatore. Ma ciò non toglie nulla al lavoro che sta facendo. Forse il suo rapporto eterno con questo club sottrae uno po' di spazio negli articoli e nei servizi su di lui. Proviamo a spiegarci.
Se ciò che sta mostrando alla Roma lo stesse facendo da un'altra parte, il mondo del pallone lo descriverebbe sempre bene, perché davanti a certi numeri e a certi miglioramenti sarebbe impossibile sminuire il suo lavoro, ma ci sarebbe meno romanticismo relativo a ciò che Daniele De Rossi rappresenta per i suoi colori, e probabilmente verrebbe maggiormente "catalogato". In poche parole, l'eccellente lavoro del De Rossi romanista sarebbe l'eccellente lavoro del De Rossi iscritto al partito dei giochisti. Perché oramai tra mass media e social si parla dei tecnici più per appartenenza alle parrocchie tattiche che per appartenenza territoriale. Per questo a volte è utile capire come certe figure siano viste da lontano, da fuori.
Quale migliore occasione della settimana del confronto con gli inglesi del Brighton? Come viene visto De Rossi dagli inglesi? Come giudicano la Roma di De Rossi? Basta farsi un giro sul web e si nota, fra testate autorevoli, meno autorevoli, frivole, social network e forum, per capire come l'allenatore giallorosso venga conosciuto e studiato con curiosità, attenzione, rispetto e per certi versi timore. Perché sanno anche loro che nessun allenatore subentrato nella Roma ha fatto meglio di lui dopo neanche due mesi di partite.
Attorno al calcio si possono intavolare mille ragionamenti, ci si può iscrivere a qualsiasi partito tattico, ma alla fine l'unica cosa che conta sono i risultati. Non a caso la Roma ha cambiato allenatore, perché i risultati non arrivavano più. E a oggi sarebbe disonesto affermare che Friedkin, una volta deciso di esonerare Mourinho, chiamando De Rossi non abbia azzeccato la scelta. Lo dicono i fatti, i 18 punti su 21, la media di 3 gol a partita, il rendimento nettamente migliorato di almeno quattro calciatori titolari, e la qualità del gioco offensivo. Da fuori, tutto ciò si nota. Pure da dentro, ma noi fisiologicamente ci aggiungiamo capitoli su capitoli nel grande romanzo d'amore su De Rossi e la Roma. Che non verrebbe macchiato neanche in caso di momenti difficili.
Ma ora fa l'allenatore. E lo fa pure bene. Tra un mese avrà più partite sulla panchina della Roma che su quella della Spal. E ciò è emblematico. Una manciata di partite talmente convincenti da farlo apprezzare fino a essere temuto dalle piazze avversarie, sin dai suoi esordi in panchina. A cominciare dalla piazza di Brighton, o più in generale di quella inglese. Fuori Roma, per i motivi sovracitati, De Rossi appartiene alla schiera dei giochisti, dei propositivi. Non a caso sulla sponda juventina ci si chiede perché il club bianconero non segua l'esempio della Roma. Memoria corta. Ci hanno già provato. Dando la panchina a Pirlo. I risultati furono deficitari. Pirlo per gli juventini non è De Rossi, ma della Juventus è stato allenatore in campo durante la dittatura in campionato targata Conte e Allegri, punto di riferimento, campionissimo.
Ma ha confermato una regola non scritta: non basta essere stati bandiere, capitani, simboli e leader di una squadra per diventarne poi allenatori, dirigenti o consulenti di successo. Servono doti, studi, umiltà, spirito di iniziativa e capacità. Bisogna essere molto bravi. Tutto ciò che sta dimostrando De Rossi.
Che abbia già trovato l'accordo o no, tra smentite e accortezze, a capo della Roma 2024-25 ci sarà lui. Non esiste un motivo al mondo per cambiare. Che si entri in Champions League o no. Che si arrivi in fondo o no in Europa League. Perché sta mostrando quelle doti che la Roma, esonerato Mourinho, se non avesse puntato su di lui avrebbe comunque cercare altrove. Tra la schiera dei tecnici emergenti, non necessariamente pretenziosi, possibilmente proponenti un calcio di azione e non di reazione. E magari di valorizzazione.
De Rossi alla Roma è di casa, ma la Roma non se lo è ritrovato in casa. Lo ha scelto. Cercava uno come lui, meglio ancora che abbia trovato proprio lui. Perché corrisponde all'identikit del club. E perché in panchina non sta andando la maglia numero sedici, un murales celebrativo o la vena gonfia di sangue. Sta andando un allenatore in erba ma preparato. Anche per questo, visti i risultati, non esiste una sola ragione per rimettersi alla ricerca di qualcosa che già c'è.
In the box - @augustociardi75