LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Ci ha pensato Daniele De Rossi a scrivere la parola fine sul libro Mai 'na gioia, genere piacionesco che ha preso piede col divampare dei social, e che trae origine dal filone melodrammatico della filosofia della sconfitta "molto romanista". Un piangersi addosso dandosi pacche sulle spalle, una gara tra chi ricorda meglio la beffa delle beffe, il gol subito più infame, il furto più efferato, l'infortunio più catastrofico. La Roma non sarà mai il Real Madrid, ma in Europa ha iniziato a scrivere la sua storia. Dalla massima sorpresa della squadra di Di Francesco, alla semifinale con Fonseca, dal trionfo di Tirana alla finale rubata per mano dell'incapace Taylor. Mentre in Italia quasi tutti, stampa compresa, snobbano tutto ciò che non sia Champions League, la Roma sta dando lustro al calcio italiano, ha invertito la tendenza. Cosa che ancora non riesce a fare in Serie A e in Coppa Italia. Ha acquisito credibilità uscendo dal coro di chi apprezza soltanto la "musichetta" della Champions League. Se non meriti di giocarci, ti adegui e ti comporti seriamente nelle coppe di secondo e terzo livello. La Roma questo sta facendo. Si è scrollata di dosso quello snobismo ingiustificato che caratterizza gli italiani del pallone. A cominciare dall'atteggiamento della stampa nazionale, che offre decorosa vetrina all'Europa League soltanto se ci gioca il Milan, altrimenti gli articoli sulla competizione sono relegati a pagina ottantamila, incastrati fra i necrologi e la pubblicità sulla pomata per combattere ragadi ed emorroidi. Un modo di fare che ha contagiato anche una piccola parte di tifoseria. Quelli che snobbano la vittoria in Conference League perché è la coppa dei settimi in classifica. Teorie che avrebbero senso se a farle fossero i tifosi del Real Madrid. Forse. Passiamo la vita a rincorrere modelli da imitare. Dal Barcellona al Dortmund passando per i club del circuito Red Bull. E mentre tentiamo improbabili copia/incolla, ci sfugge il lavoro di chi non ha imitato nessuno ma è cresciuto non trascurando nessuna tappa di ascesa. Tipo l'Atletico Madrid, che ha rinverdito i fasti mettendo in bacheca una, due, tre Europa League tra il 2010 e il 2018, godendo dei trofei e usandoli per crescere, per acquisire consapevolezza, che uniti agli investimenti hanno consentito negli ultimi quindici anni di vincere la Liga e di arrivare due volte in finale di Champions League. Oppure il Siviglia, il club collezionista di coppe Uefa Europa League. Club che danno tutto per la competizione a cui partecipano. Non programmano le eliminazioni come accade in Italia. Non permettono agli allenatori di piangere nelle conferenze stampa pre Europa perché "la partita del giovedì scombussola i piani per il campionato". La Roma è finalmente uscita da questo circolo vizioso. E anche nelle stagioni italiane più complicate, ha trovato conforto nelle coppe, perché si è abituata a fare strada. Se la gioca, a prescindere da chi la allena e dal modulo che utilizza. Per la Roma, da sei anni e mezzo, giocare in Europa non è più né un incubo né un fastidio. Non a caso l'ultima volta che è uscita entro il novantesimo è stato a inizio maggio 2021, comunque in semifinale, contro lo United. Doppio confronto da mangiarsi le mani. Fatti e parole. De Rossi partecipò da calciatore a quella cavalcata in Champions League interrotta in semifinale. De Rossi sta partecipando, da allenatore, all'ennesimo tentativo di scalata europea. Ai fatti ha aggiunto parole da scolpire nella pietra. Scaricando nel water il #mainagioia, lo snobismo, le teorie di certi tifosi che "sì ok hai vinto la Conference però vuoi mettere i soldi che ti dà la Champions?". Ha dato un calcio in culo a quei discorsi da volpe e uva che rischiavano di lasciare addosso alla Roma un'etichetta un po' patetica, di squadra Paperino a cui si rompe l'ombrello ogni volta che lo apre. Non a caso, il giorno dei sorteggi, se ci mettessimo nei panni di chi può essere abbinato alla Roma, scopriremmo che sempre di più incrociano le dita affinché non debbano giocare contro i giallorossi. Che in Europa non sono più sparring partner. Ma avversari da rispettare e da temere.
In the box - @augustociardi75