LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Se José Mourinho fosse il tappo che impedisce alla Roma di sgorgare, basterebbe esonerarlo. È già successo negli ultimi anni. A due club che, allontanandolo, hanno poi collezionato figuracce. Mica perché lascia macerie e lancia anatemi. Semmai perché quando Mourinho lascia una squadra, toglie il tappeto, e il club torna a fare i conti con tutto ciò che era prima del portoghese. Con se stesso.
Quindi il Manchester United è tornato a essere quella realtà spendacciona che post Ferguson soltanto col portoghese ha trovato un biennio di stabilità. E il Tottenham è tornato a fare ciò che gli riesce meglio, cacciare allenatori su allenatori, tutto all'insegna di Daniel Levi, il presidente che resiste al tempo e alle intemperie collezionando scalpi e flop tecnici. E l'Inter? Dopo Mourinho, per anni, ha fatto l'Inter. Ossia il club che a cavallo del nuovo millennio era fonte di ispirazione per comici di Zelig e autori di libri di satira calcistica.
Lo abbiamo scritto, Mourinho è fulmine e parafulmine. Ciò non vuol dire che sia immune da critiche. Anzi. In queste ore da molti viene descritto come il male assoluto, quindi non è vero che Mourinho non si possa giudicare. Semmai lui può eccedere in eccesso di autodifesa. Ma ancora deve nascere l'allenatore che non cerca alibi e attenuanti.
Potessimo vivere una realtà parallela, sarebbe curioso sapere come si comporterebbe la Roma senza di lui. Un club che dal 2018 sperpera denari per colpa di sessioni di mercato spesso suicide. Per sciatteria gestionale di Pallotta, che a ridosso del suo addio, nell'ultimo biennio da presidente, sganciò il vagone Roma dal treno dei suoi interessi, abbandonandola a una specie di autogestione supervisionata da manager improbabili, con conseguenze tragicomiche sotto il profilo finanziario e tecnico.
Da errori commessi dagli stessi Friedkin, che in trentasette mesi hanno già allungato la lista di manager annunciati in pompa magna (spesso tramite la narrazione della fetta amica dell'informazione locale e nazionale, perché ogni club a ogni livello stabilisce rapporti confidenziali con una parte dei mass media che poi farà da megafono al club stesso spargendo caramellosa melassa) e licenziati in tronco pochi mesi dopo.
È opportuno fare questa breve cronistoria perché altrimenti all'esterno passa il messaggio che debiti in aumento, bilancio in rosso e monte stipendi troppo elevato siano causati soltanto da quel demone che siede in panchina. Come se si fosse catapultato sul pianeta Roma per raderlo al suolo a colpi di bonifici in uscita. Mourinho è responsabile tecnico della Roma sedicesima in classifica che pratica un calcio ultimamente ammorbante. Nessuno lo toglie dalla lista delle colpe. Poi però una volta elencate e sottolineate con la matita blu, sarebbe utile concentrarsi su ciò a cui la sua imponenza mediatica fa ombra. I calciatori, i dirigenti, il club, il sistema Trigoria. Laddove per sistema si intendono quei vizi di forma che infestano i club da sempre, causati da invidiette e ripicchette, spifferi e voltafaccia, bronci, sfoghi e giochi doppi.
La Roma che vince si traduce, nei titoli, in Mourinho che vince? Certo, impossibile negarlo. Ma è altrettanto vero che la Roma che perde partite e soldi scatena titoli su Mourinho che causa disastri. In sostanza, per molti le sofferenza finanziare del club sono la conseguenza delle sue telefonate a Dybala, Lukaku e Wijnaldum. O dei 40 milioni fatti spendere per prendere Abraham. Guai a ricordare i problemi causati dalle direzioni sportive gestite da Monchi in poi, l'assenza costante di main sponsor nonostante si siano alternati negli anni una mezza dozzina di geni(?) del marketing provenienti da colossi mondiali, o i rinnovi a calciatori normali con stipendi da top player.
Oramai si sta diffondendo come un virus la convinzione che Mourinho non solo freni la Super Roma in campo, ma sia una specie di punteruolo rosso che sta devastando la salute di un club modello. Da una parte c'è lui, sguardo torvo, tono di voce sempre più basso, che potrebbe evitare di nominare Ibanez perché Ibanez non è più un calciatore della Roma, a meno che non torni in prestito, e che quando ripete di continuo che la sua Roma ha fatto due finali europee consecutive non soddisfa la disperata necessità dei tifosi di sapere cosa diavolo stia succedendo da agosto alla squadra.
Dall'altra parte c'è il silenzio. Che ci sia da gioire, da protestare, da rivendicare diritti, da denunciare danni, da legittimare posizioni, c'è il silenzio. I Friedkin sono fatti così? Ok, allora sarà legittimo provare a interpretarli, e allora nessuno si potrà risentire se ci si meraviglia dei loro ottimi rapporti con i vertici Uefa considerando Budapest, o dell'assenza di una figura che rappresenti il club e faccia valere i diritti dello stesso per capire come mai dopo ogni giornata di Europa League la squadra giochi in trasferta in campionato, o anche quando sarebbe opportuno riprendere pubblicamente squadra e allenatore dopo un avvio di stagione pessimo. Di cui Mourinho è responsabile, ma non più della società e dei calciatori, che potrebbero testimoniare quanto sia anacronistico parlare di Roma piazza difficile per fare calcio, perché da troppi anni, almeno una quindicina, fra stipendi ingiustificatamente alti, dirigenti morbidi e poco autorevoli, benefit e città adorante, fra barchini dei gelati, ristoranti sempre gli stessi, e assenza di esigenza di vittoria, forse oggi per assurdo è più difficile fare il calciatore nel Sassuolo che nella capitale.
Arriverà il momento in cui si analizzeranno tutti i comparti della Roma. Perché un giorno Mourinho andrà via. Gli esterni torneranno a crossare, il gioco della squadra sarà un ubriacante champagne, sarà tre volte natale e festa tutto il giorno, i calciatori generosamente chiederanno il taglio dello stipendio, arriveranno giovani calciatori talentuosi da ogni angolo del mondo, anche i preti potranno sposarsi ma soltanto a una certa età, e si realizzerà finalmente quel progetto virtuoso e sostenibile inibito da quel diavolo che siede in panchina. Poco importa ricordare che la Roma prima di Mourinho sia stata rifiutata da Conte, Gasperini e De Zerbi. Prima di Mourinho era tutto rose e fiori. Era tutta campagna.
In the box - Augusto Ciardi