LR24 (MATTEO VITALE) - In nessuna circostanza, in nessuna epoca, in nessuna competizione potranno una vittoria o un trofeo mettere in catene o limitare all’interno di un recinto l’amore dei romanisti per i colori giallorossi. Se qualcuno sta pensando che dalla dolorosa notte di Budapest i tifosi della Roma siano usciti sconfitti, demotivati, spenti…beh, non solo è arrivato alla risposta sbagliata, ma ha sbagliato anche e soprattutto la domanda. Vincere è bello non per me, il singolo tifoso, ma per noi. Il viaggio della speranza verso Budapest, passando per le città e nazioni più disparate spendendo pacchi di soldi per l’andata e rimanendo ammassati per ore senza alcuna giustificazione né motivazione (né difesa) come bestie prima di un ritorno inevitabilmente diametralmente opposto a quello sperato e immaginato, ha dietro motivazioni e radici più profonde. Seguire la squadra ovunque giocherà, la domenica, il lunedì, il giovedì, non è una scelta, è naturale quanto lo è lo scorrere del sangue nelle vene. Si parte non per sé, non per essere protagonisti o parte di un trionfo, ma per tutti quelli rimasti a casa, per quelli che non potevano permetterselo (perché il vero protagonista è sugli spalti e in queste ore di fuoco incrociato ci si scorda di sacrifici e di ogni forma di rispetto), per chi l’ha vissuta all’Olimpico perché la vittoria è più bella se stiamo insieme e la sconfitta tollerabile se non siamo soli, per chi è appena arrivato, per chi non c’è più. Soprattutto per chi non c’è più, perché la cosa bella della vittoria non è mai vincere, ma a chi interessa della coppa in sé per sé? La cosa importante di una finale non è mai il trofeo in palio, ma la speranza di condividere quell’emozione e di dedicare quella notte. A un padre, a una madre, a un fratello, a un amico, a un compagno di tifo, ad Ago, a tutti gli altri romanisti. Chi, subito prima o subito dopo, non ha pensato a chi oggi non c’è più? La Roma è famiglia, nel senso più puro.
Mourinho non parla di famiglia per comodità, non è qualcosa che ha creato o inventato lui, è qualcosa che ha capito e riconosciuto, è quella cosa che non si può vedere, ma che si può sentire se si ha il cuore di ascoltare. Un insieme di ricordi, esperienze, emozioni, che lega tutti indissolubilmente a prescindere dalla generazione. È la difesa feroce, commovente e fiera che si è alzata attorno alla squadra in queste ore di attacchi e accuse al tecnico e ai tifosi. L’amore per la Roma non è un sentimento, quello che banalmente viene chiamato tifo o viene banalizzato con il termine passione, ma un viaggio. Un viaggio che capisci di aver intrapreso quando sei già a bordo da anni, quando senti di appartenere a qualcosa, che tu sia a Roma, Leida, Danzica, Budapest, qualcosa che non è dove né quando, è. E basta.
L’amore per la Roma è la ricerca stessa della felicità, la cosa più importante, al tempo stesso meta e percorso. Il dolore è naturale, è tanto, quasi ingestibile in alcuni momenti, ma è soltanto l’altra faccia della felicità e l’amore sarà sempre più forte del dolore. Mentre i romanisti passeranno questi giorni ad asciugare lacrime di cui essere fieri e orgogliosi qualcuno riderà, qualcuno sta ridendo, pensando di aver assistito a una debacle, dimostrando invece di essersi fatti nuovamente la domanda sbagliata. Il vento soffia ancora. Il nostro viaggio alla ricerca della felicità non si è fermato, è già ripartito e fra qualche ora, giorno, qualcun altro nel mondo capirà di essere a bordo e troverà negli occhi e nelle parole di un altro romanista il senso di tutto, la spiegazione a tutto, conforto, amore e speranza per inseguire insieme il prossimo sogno, che non sarà mai la meta, ma soltanto una tappa. E guardando indietro e attorno a sé troverà altri romanisti, perché nessun tifoso della Roma sarà mai solo, nel bene e nel male.