LR24 (AUGUSTO CIARDI) - 25 maggio 2022. Teoricamente, la data del lancio in orbita della Roma. Teoricamente. Procediamo per gradi. Mourinho non forgia, cambia i connotati. Non brucia, ottimizza. In un anno e mezzo, sbuffando e smoccolando, ha persino individuato e sparato in campo giovani calciatori che alla Roma sono tornati utili alla voce plusvalenze (più o meno l'incasso per la cessione di Felix ha ripagato il primo anno di ingaggio dell'allenatore) o tuttora fanno parte del progetto, con ambiziose mire, per esempio Zalewski e Volpato, in attesa, si spera, di Bove. Faceva un altro mestiere, lo ha fatto nei diciott'anni precedenti l'arrivo a Roma, ma ai tempi del Porto, durante il suo biennio di platino, aveva già mostrato l'occhio lungo nello scovare talento fra i bambini. Li chiama così da sempre, qua a Roma molti si sono stupiti per la definizione. Forse perché in molti di lui conoscevano il numero dei trofei vinti in carriera ma pochi dettagli della carriera stessa.
Nel 2018, il giorno dopo la finale dei Mondiali, partì per gli States con un Manchester United monco dei nazionali, aggregando tanti ragazzi delle giovanili. "Sono qui coi bambini", ci diceva, che uno pensava fosse in vacanza in California coi figli. E invece no. I top manager hanno poco tempo per pensare ai giovanissimi perché il loro tempo è rubato dai top player. Ma sono uomini di campo e il campo non mente, un calciatore forte affermato sarà sempre stato un calciatore forte alle prime armi, e non serve un addestratore specializzato in scoutismo per riconoscerne le doti. Poi esistono i gusti. E allora ci dividiamo nelle considerazioni, vivaddio. Guardioleschi e mourinhani, sacchiani e trapattoniani, capelliani e zemaniani: gli allenatori spaccano più dei sondaggi nazional popolari, più di mare e montagna, pasta corta e lunga, Duran Duran e Spandau Ballet. Viviamo su una torre e cerchiamo di buttare giù ciò che meno ci aggrada. Amen.
Mourinho ruba spazio, titoli, parole e dibattiti a chiunque. Che abbia in rosa Deco o Zaniolo, Drogba o Abraham, Cambiasso o Pellegrini, le squadre che allena saranno sempre più sue che degli altri. L'Inter di Mourinho, il Chelsea di Mourinho. La Roma di Mourinho. Tipico dei big. Guardiola è dovuto andare via dal Barcellona per permettere all'immaginario collettivo di identificare la squadra catalana in Messi. Per qualche anno Capello tolse un po' di Roma a Totti nella considerazione generale.
Ci pensa lui, Mourinho, a seconda di come vanno le cose, ad accendere i fari sui calciatori che per i media al massimo saranno coprotagonisti, perché la copertina sarà sempre e comunque per il portoghese. Una manna editoriale per le piazze e per i campionati in cui allena. Al massimo può sorgere il dubbio su cosa possano contenere di inedito i libri che lo vedono al centro della narrazione, visto che ne saranno usciti un centinaio in venti anni, tradotti anche in aramaico ed esperanto. Accende i fari sui calciatori perché coi calciatori instaura un rapporto che va oltre il professionale. Se entri nella sua cerchia, ti svolta la carriera. Altra peculiarità dei top manager. Gli eletti per gli eletti. Quelli che ti cambiano i connotati, appunto. Perché i top manager fanno curriculum. Ma essendo top manager, specialisti in vittorie, che siano risultatisti o giochisti, sanno bene che verranno sempre e soltanto giudicati per i numeri che producono, per la classifica finale, gli obiettivi centrati, i traguardi tagliati. Non importa come ci arrivano, non esiste un'unica strada maestra. Per questo, chi li ama li segua, ma dimostri di sapere amare e seguire, il più in fretta possibile, e guai a sgarrare.
Sacchi ruppe con Van Basten, probabilmente il più grande centravanti della storia del calcio, Guardiola guarderebbe probabilmente Ibrahimovic con diffidenza anche se si ritrovassero fra venti anni in un torneo di vecchie glorie. Mourinho quando perde punti e partite tollera poco pure l'aria che respira. E se nell'aria fiuta qualcosa che non va, tracima. E sono guai per chi crede di essere entrato nelle sue grazie per sempre, convincendosi di essere una specie di pigro parlamentare che ottiene il vitalizio.
25 maggio 2022, torniamo alla fatidica data, perché forse lì si è fermata temporaneamente la crescita delle ambizioni di alcuni giocatori della Roma. Non hanno la pancia piena, semplicemente sembra non abbiano tratto benefici da quella vittoria, hanno fame ma non hanno capito come procurarsi il cibo e si accontentano di cracker senza sale, sono forti ma non ne hanno piena consapevolezza, sbagliano sistematicamente scarpe da indossare pur disponendo di una buona scorta di calzature. Mourinho lo ha capito e da qualche settimana è entrato in una nuova fase dialettica, totalmente dedicata ai giocatori. Molti penseranno che non sia una novità, perché lo scorso anno fu spietato nei giudizi sulle terze linee. Ecco, le terze linee. Erano i comprimari, le riserve delle riserve. Le stilettate dialettiche servirono per scremare, la Roma aveva già diviso i suoi calciatori in due liste, quelli da testare, da Mourinho, e poi eventualmente accettare, e quelli da salutare, senza rancore.
Oggi è diverso. Oggi c'è da capire se l'ego dei calciatori titolari, fino a ieri inamovibili, sia in grado di evolversi per la causa della Roma, pianificata da Friedkin e affidata a Mourinho. Una specie di chi vuole essere milionario, che mette nelle condizioni gli eletti di salire di livello, ma dovendolo dimostrare, superando nuovi test. Avete visto cari calciatori della Roma? Anche voi potete vincere, dopo anni di mediocrità sportiva durante la quale vi bastava un derby vinto per sentirvi Napoleone. Ora per continuare a cingervi la capoccia di alloro dovete alzare la vostra asticella dell'ambizione. Il gioco si fa più duro, siete talmente duri per potere continuare a giocare? Questo sta accadendo, al netto delle durissime dichiarazioni, giudicando o meno se sia opportuno, ingiusto o sacrosanto, ignobile o propedeutico usare quelle parole in pubblico. Vale tutto. Ma ciò è. Siamo al crash test, sviscerato con le maniere forti perché da qualche tempo Mourinho potrebbe avere capito che i conti non tornano, che forse ha confidato in chi magari non ha nelle corde un ulteriore salto di qualità o magari si è inconsciamente seduto perché dopo il primo anno già pensava di sedere alla destra del Padre, e credeva che fosse per sempre.
La Roma non riempie gli occhi quando gioca? Fatica a segnare? Sì, ok, ma questo lo hanno capito pure i bambini, i miopi e gli orbi. Mourinho diventa intrattabile quando le cose vanno male? Buongiorno bellezze, e così da sempre. Perde ogni grazia perché va fuori da quella di Dio? Certo che sì, ma pure questo è risaputo. Siete sconvolti e spiazzati per le accuse di Reggio Emilia? Andate su Google e scrivete nel motore di ricerca Mourinho e Casillas, perché scontri, pure coi big, non sono per lui in inedito.
Prima però proviamo a guardare sotto il primo strato. Perché mentre le sue parole spaccano per la milionesima volta l'opinione pubblica, stimolando sondaggi e favorendo interviste a tema con direttori sportivi e direttori di giornali, massaie, dottoresse e ballerini, tifosi di curva e da social, sta andando in scena, e ce la stiamo perdendo, una nuova fase del suo rapporto con la Roma. Che stavolta coinvolge quelli che hanno vinto ma devono fare i conti con il proprio ego e con quello del loro allenatore, che sarà pure gigantesco, ma se appagato porta benefici al club, alla squadra, e alle carriere dei calciatori stessi.
I bonus stanno per finire. Basta poco per trasformarsi da Pietro in Giuda per gli apostoli che credevano di essere prossimi alla santificazione. Nel vangelo di Mourinho siamo al capitolo in cui i calciatori che contano fanno i conti con il proprio ego. Che i suoi modi siano amati o detestati, chi salta quel capitolo finisce dritto dritto nei titoli di coda.
In the box - @augustociardi