LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Guardiola, De Zerbi, il monopattino, Sarri, Messi, Renard, Adani, i flashmob, Capalbio, i due tocchi, il Barcellona, la Cremonese di Alvini (che ha preso il posto del Pescara di Massimo Oddo), Zeman, i selfie accanto al termostato mentre abbassiamo la temperatura di un grado, Nagelsmann, le cicchetterie. L'ideologo Bielsa.
Dall'altra parte Mourinho, Cristiano Ronaldo, il Papeete e Porto Cervo, il Real Madrid, le Ligier senza targa, la difesa a tre, Allegri, il contropiede, la champagnerie dove sciabolare Louis Roederer.
Nereo Rocco come stile di vita.
Il calcio divide più della politica, da buoni guardoni ingigantiamo i dettagli passandoli al microscopio, a maggior ragione perché ci stiamo abituando ai mondiali senza la nostra nazionale. Noi che facevamo petizioni per la convocazione di Baggio nel 2002 e sondaggi su Totti titolare al posto di Del Piero. Oggi chiediamo interrogazioni parlamentari per chiarire il ruolo di Daniele Adani che dice troppe volte enganche, o volante mas adelantado, riferendosi al centrocampista di raccordo con l'attacco, e perché decanta con troppa enfasi l'epopea dei rosarini. Siamo i re degli spinoff nonsense. Inconsciamente invidiosi, perché mentre deridiamo il Qatar che cade sotto i colpi di Enner Valencia, silenziamo omertosi giudizi sull'Italia che le busca dall'Austria. Guai a criticare Mancini che, oh, tre giorni prima aveva spezzato le reni all'Albania.
Con buona pace di Enzo Bearzot, che ai mondiali vinti in Spagna aveva trovato nei giornalisti avversari più tosti del Brasile di Falcao, dell'Argentina di Maradona, della Polonia di Boniek e della Germania di Breitner e Littbarski. Bei tempi. Quando non si facevano sconti a nessuno perché non c'era da prendere posizioni precostituite. Già all'epoca esistevano le fazioni. Ma non c'erano interessi di cassetta. E c'era molto meno fanatismo. Gli anni ottanta si sono chiusi con la mela spaccata in due. Metà trapattoniana, l'altra sacchiana. Però all'epoca ci si rispettava di più. Si riconosceva la possibilità di gareggiare e tagliare il traguardo con un qualsivoglia credo calcistico. Oggi no. Sei giochista? Povero fesso, ti accontenti di partecipare. Ti piace guardare soltanto il risultato al motto de il fine giustifica i mezzi? Vade retro, Satana! che intanto chiamo l'esorcista. Ci manchiamo di rispetto. Spesso ci facciamo ridere dietro dal mondo. Ci fingiamo globalisti ma in fondo siamo quelli del Palio di Siena e delle litigate nelle riunioni di condominio perché i Brambilla del piano di sopra sgrullano la tovaglia sui nostri panni stesi.
Contiamo da quanti anni Guardiola non vince una Champions League perché qualcuno ci ricorda che Mourinho "non vince da vent'anni". Perché guai a riconoscere la grandezza di uno se siamo schierati a favore dell'altro. C'è chi bestemmia se vede una squadra costruire dal basso e chi sente puzza di naftalina se un portiere rinvia lungo oltre la metà campo. Era più utile Dario Hubner o quell'attaccante che si chiama spazio? C'è chi preferisce Alaba, perché fa quattro ruoli, a youporn e chi usa i video del libero che spazza in tribuna al posto del viagra. Filosofie calcistiche auspicando il priapismo. Masturbazioni cerebrali. A Roma poi ci sono i rioni, le piazzette, i cortili. Capirai, da una parte Mourinho, dall'altra Maurizio Sarri. Per rendere più accattivante (bah) il dualismo, l'allenatore laziale è diventato Mau. Mou contro Mau, immaginando quanto sia contento Sarri di tale nomignolo. Guarda come gioca la Lazio! E tu guarda quante coppe ha vinto Mourinho, l'ultima con la Roma! Poi però a tempo perso buttiamo tutti un occhio sulle classifiche, e noteremo che in due sono arrivate due volte in Champions League negli ultimi quattro anni. Una volta a testa. Ma mica contano i calciatori. No, mica. L'importante è dividersi. Gli allenatori sono l'ideale accetta. Fanno litigare molto più dei calciatori, degli arbitri.
Il tifo per gli allenatori sta superando quello per le squadre. In principio fu il Barcellona di Guardiola, ma anche il pullman di Mourinho nelle trasferte interiste ai tempi del triplete. Da quei momenti in poi, nulla è stato più come prima. Prima? Prima al massimo c'erano visionari che vedevano in Delio Rossi l'allievo del maestro. Laddove il maestro era Zeman. Gli accostamenti a Mourinho hanno rovinato la carriera a Villas Boas perché lo hanno schiacciato sotto aspettative che lui non voleva e non si meritava. Un po' come il peso sulle spalle di tutti i numeri dieci dell'Argentina post Maradona fino all'avvento di Messi. L'acqua santa da opporre al diavolo Cristiano Ronaldo. Altra divisione. Vederli in finale al mondiale non significherebbe godersi una magnifica partita coi più forti degli ultimi venti anni giunti al canto del cigno. Per miliardi di persone sarebbe il giorno del giudizio. La guerra santa. Il Bene contro il Male. Da sostenere sui social spiluccando nigiri.
Domanda delle domande: ma il sushi è giochista o risultatista?
In the box - @augustociardi