LR24 (MATTEO VITALE) - “Quest’anno c’è qualcosa di speciale dentro Trigoria. Questa è la strada se vogliamo vincere qualche cosa”. Lo aveva detto Lorenzo Pellegrini a inizio stagione. Parole di rito? Di circostanza? No, tutt’altro, praticamente una profezia. Il numero 7 che ieri ha alzato al giallorosso cielo di Tirana la Conference League Cup, ha iniziato a filare il destino della squadra giallorossa, di cui è degno, rispettato e orgoglioso capitano, tracciando le linee di un futuro che si sarebbe compiuto nel giro di pochi mesi.
Qualcosa di speciale c'era davvero. Certo, è facile, è arrivato lo Special One, l'uomo della vittoria, l'allenatore che non gioca le finali, le vince, che è arrivato a Roma tra lo scetticismo di pochi e l'entusiasmo di molti, i romanisti che a lui hanno affidato la cosa a loro più cara, e che ha già cambiato la storia della Roma. Mourinho ha preso la nostra squadra per mano e l'ha trascinata fuori da un labirinto di paure, ricordi e pensieri negativi, rimorsi e rimpianti, cancellando con un colpo di bacchetta magica tante frasi diventate ormai odiose, quelle cantilene maledette che suonavano tipo “non vinciamo da X anni”, “ecco i maxi schermi, perdiamo”, “stadio pieno, sarà il solito psicodramma”, quella paura di vivere un'altra serata come quella contro il Liverpool, che è sì un motivo di orgoglio, ma anche una cicatrice sul cuore di romanisti che quella notte l'hanno vissuta e faticano ancora a parlarne.
Molti al fischio finale hanno pensato ad Ago: la coppa alzata al cielo da Pellegrini, capitano romano e romanista che ha coronato il sogno di ogni singolo tifoso a neanche 26 anni di età, è la coppa di Agostino, di Francesco e di Daniele che avrebbero dato tutto per farlo, dei nostri genitori, di chi ha sognato questo momento per una vita intera. È la coppa di un padre nato nel 1956, che ha visto la Roma vincere ma anche perdere e soffrire, che al fischio finale scrive ai suoi due figli “era ora!”.
E chi sa quanti genitori, quanti amici, avranno pensato alle persone più care in quei momenti, prima del fischio finale e subito dopo, per chiamarli al telefono, per incontrarli, perché la Roma è la cosa più bella e le cose più belle le condividi con chi ami, con la tua famiglia. Famiglia, una delle parole chiave di questa stagione giallorossa, usata spesso da José Mourinho, che ieri ha pianto di nuovo, per noi, con noi, grazie a noi.
Sì, era ora. Era ora che chiudessimo un cerchio, che facessimo pace con il nostro passato, con la nostra storia, con le nostre cicatrici, che sono i tatuaggi più belli. Al fischio finale di ieri ogni singola cosa è tornata al proprio posto. Roma e la Roma hanno vinto: a casa, a Tirana e allo Stadio Olimpico, ovunque ci fosse un romanista. A fine gara, però, Mourinho, Tiago Pinto e Pellegrini hanno detto in coro che questo trofeo, questa meravigliosa notte di romanismo, deve essere il punto di partenza. Era ora.
In the box - @strumentiumani