LR24 (AUGUSTO CIARDI) - L'ultima volta che la Roma ha conquistato il posto in Champions League, con Di Francesco in panchina, nella stagione che avrebbe visto la squadra giallorossa super protagonista proprio nella massima lega continentale, dopo otto giornate aveva conquistato un punto in più rispetto al campionato attuale. Aveva un punto di ritardo in meno rispetto alla squadra che guidava la classifica, che anche all'epoca era il Napoli, di Sarri, a punteggio pieno, nella stagione in cui i campani avrebbero conteso lo scudetto alla Juventus fino nell'hotel di Firenze in una domenica di primavera, perché la sera prima Inter-Juventus era stata decisa, guarda caso, da Orsato, che da anni viene considerato il miglior fischietto italiano nonostante, da anni, sia protagonista dei più scabrosi fattacci arbitrali, ma questa è un'altra storia.
Continuiamo a fare i paragoni, senza necessariamente capire a cosa possano portare. Perché ovunque, ma a Roma di più, vanno di moda. Quanti punti ha fatto la Roma di Fonseca nelle ultime due stagioni dopo otto partite? Due in più un anno fa (che poi sul campo erano tre in più), uno in meno nella prima stagione del connazionale di Mourinho. I conti è sempre meglio farli alla fine perché, regola che vale soprattutto per la Roma versione 2020-21, conta molto la distribuzione dei punti. Infatti la squadra del secondo Fonseca alla 26esima giornata era quarta, con 50 punti, dopo la vittoria sul Genoa. Un punto in più dell'Atalanta, tre in più del Napoli, addirittura sei in più della Lazio.
Poi arrivò la sconfitta di Parma, la perdita in quel turno di una posizione a favore dell'Atalanta, e il crollo in campionato, distratta definitivamente dall'Europa League. Tanti punti per il 75% di stagione, un crollo con media punti da retrocessione nell'ultimo quarto di campionato. Settimo posto finale, ad anni luce dalle posizioni che contano. Troppi. Anche per una squadra oggettivamente meno forte di altre (ma francamente non tanto più debole della Lazio, per fare un esempio). La spiegazione la diedero i calciatori: a marzo avevano staccato la spina. Peccato che né loro né l'allenatore avessero avvertito, lasciando i tifosi a dannarsi l'anima per prestazioni oscene sia nei big match sia contro le piccole, che fino a qualche mese prima venivano regolate di giustezza. Nella stagione del record di punti con Spalletti, all'ottava giornata i punti erano 16, uno in più di adesso, addirittura due in meno rispetto a un anno fa.
Tutto è relativo. Si può anche confrontare una stagione in corso con le precedenti, per punti, numero di sconfitte e vittorie, gol fatti e subiti. Poi però bisogna considerare i contesti, le antagoniste, le vere protagoniste. Nel campionato in corso persino il Napoli da percorso netto mostra ancora delle lacune. La vittoria contro il Torino non è stata il manifesto del calcio spallettiano. Ma è normale che sia così. E la Juventus osannata dai media nazionali che fanno i vaghi sulle nefandezze arbitrali? Ha vinto con due tiri in porta, con un gol da annullare, graziata a fine primo tempo dai fischi insensati, ha palesato problemi strutturali che apparivano chiari già ad agosto. Però le vittorie cancellano tutto. Mentre per ogni sconfitta della Roma, anche la più ingiusta, anche la più condizionata dagli obbrobri arbitrali, c'è sempre un dubbio che si insinua.
Se la Roma arrivasse settima come un anno fa, sarebbe probabilmente lo stesso allenatore a parlare di flop. Pure se lui in questi mesi è parso essere la persona più realista che esista quando si parla di Roma. Si chiedeva chiarezza e voli redenti l'erba. Sta facendo anche questo. Magari per strategia. Ha fatto il diavolo post derby perché sa che perderlo può avere controindicazioni per i calciatori, quindi si è preso lui la scena, accelerando fino a esagerare. E infatti nessuno ha puntato il dito accusatorio contro i suoi ragazzi e i suoi bambini. Ha fatto il diplomatico post Torino. Perché la prestazione positiva della Roma non richiedeva protezioni e difese d'ufficio, meritava invece complimenti per accrescere l'autostima.
Mentre invece la prova scellerata degli arbitri era talmente eclatante che non serviva uno show del portoghese, che non è venuto in Italia per regalare meme ai social network o per fare scrivere fiumi di inchiostro o nuove sceneggiature per i docufilm. Ma per aiutare una squadra storicamente miope quando si deve individuare il giusto sentiero. Sbaglia Mourinho? Certo, come tutti, probabilmente meno di tanti altri, perché più di tanti altri è bravo. Ha sbagliato nel derby, perché pure lui come i suoi calciatori ha regalato venticinque sanguinosi minuti alla Lazio di Sarri. Ha sbagliato il secondo tempo a Verona. Forse poteva persino fare di più contro la Juventus, magari anticipando l'ingresso di Shomurodov.
Poi? Si invocano le sostituzioni, si aprono casi su Villar. Si arriva persino a pensare che non venga convocato quando è pronto a partire invece assieme ai compagni, luci eccessive perché in fondo si continua a parlare di un giovane talentuoso calciatore proveniente dalla Serie B spagnola come fosse un affermato finisseur di calcio dalla caratura internazionale. Al tempo o ci si affida o gli si permette di stritolare la serenità. Che è uno degli ingredienti proposti dalla casa in questa stagione, per ripartire dopo tre anni manomessi da una gestione economico-societaria che incide sul futuro molto più rispetto agli errori di campo, in parte condizionati proprio dai manager.
In the box - @augustociardi