Il destino dei risultatisti

26/10/2021 alle 16:28.
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LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Un paio di settimane fa, prima di -Roma, a Mourinho è stato chiesto un parere sul duello tutto mediatico fra risultatisti e giochisti, essendo lui rappresentante, come Allegri, della prima categoria. Un affare tutto mediatico, agitato dai ferventi sostenitori dei giochisti, che in tv rinnegano se non addirittura negano, detestandole, le vittorie pratiche, quelle per cui il fine, il trofeo, giustifica i mezzi.

Ricordate quando De Zerbi dopo la vittoria in del Chelsea sul City di Guardiola disse che lui preferisce perdere una finale se il suo allenatore è lo spagnolo? Roba da fanatismo. Ma tant'è. Ad Allegri poco ci mancava che togliessero con sollevazione popolare uno scudetto perché lo avrebbe vinto contro il di Sarri. Altro involontario emblema del giochismo.

Gli allenatori nell'assistere a queste spesso tristi battaglie televisive si fanno grasse risate. Però poi Mourinho sull'argomento disse che uno è risultatista perché porta in dote i risultati. Le vittorie. I trofei. Disarmante. In una frase, il suo modo di concepire il calcio. I risultati. Da raggiungere col gioco (il 95% dei giochisti possono soltanto sognare le trame del suo  Porto nel biennio 2002-2004), coi campioni da gestire (Chelsea, , ) o con una via di mezzo che proietta nel presente l'allenatore portoghese.

Lui sta a Roma per raggiungere i risultati tramite un progetto in cui crede e che non ha mai messo in discussione. Solo che Roma uno così non lo ha mai avuto, quindi deve ancora prendere le misure, e si è svegliata per qualche giorno spaesata, assalita in modo naturale dai dubbi. Perché per anni la gestione dello spogliatoio è stata diplomatica, per cui mai nessuno si sarebbe sognato di sentire un allenatore cassare una serie di calciatori, mentre oggi si fa i conti con dichiarazioni forti se non addirittura violente. Che conducono a un bivio.

Cosa vuole comunicare all'esterno Mourinho? Domanda sbagliata, strada chiusa. Mourinho non lancia messaggi agli astanti, tanto meno al club. E se si rivolgesse alla squadra? Meglio. Se le sue esternazioni servissero per rafforzare la consapevolezza sul blocco di titolari in cui crede? E se servissero per risvegliare motivazioni sane in chi oggi lo sta deludendo? Al netto di calciatori realmente non all'altezza che sono stati immotivatamente sopravvalutati al punto da farli sentire arrivati? Se ciò che dice fosse uno dei fondamentali passaggi della grande selezione naturale che sta capeggiando e che porterà nei prossimi mesi ad avere una rosa a sua immagine e somiglianza? Se vuole evitare che alcuni calciatori decidano di mettere le tende a Roma e di bivaccare fino alla scadenza, come le precedenti gestioni tecniche e manageriali hanno permesso a chi oggi fa ancora parte della famosa Lista B?

Spesso le risposte si estrapolano dalle domande che ci poniamo. Perché se Mourinho fosse impazzito a cinquantotto anni, a breve lo vedremmo internare e avremmo capito tutto. Molto più semplice invece pensare che la sua strategia serva alla Roma e di conseguenza a se stesso. Perché il progetto Roma è nelle sue mani, la società si fida. E lui sa che, da risultatista incallito, i calcoli vanno fatti bene, perché alla fine chiunque viene giudicato per i risultati. E finora possiamo dire che Mourinho in carriera qualche risultato lo ha portato a casa. Vale la pena fidarsi.

In the box - @augustociardi