LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Prendiamo la rosa della Roma. Non è da scudetto, può ambire a entrare in zona Champions League. Ha notevoli punti di forza, così come presenta lati deboli che a tratti appaiono disarmanti. La Roma è lì, da inizio stagione in corsa per tornare in Europa A, in corsa in Europa League, ancora una volta, purtroppo, fuori dalla Coppa Italia per sciatteria: cambiano gli allenatori ma l'atteggiamento di squadra, capisquadra e società nella coppa nazionale continua a essere imbarazzante. Voto parziale: sei e mezzo, sette, salvo eccessi. Chi vede Fonseca come il male assoluto dà quattro perché evidentemente reputa la squadra da scudetto. Inutile in questi casi creare contraddittori, non stiamo al mondo per andare tutti d'accordo. Per fortuna. Siamo all'ultimo curvone della stagione, periodo in cui le direzioni sportive pianificano il futuro. Primo nodo da sciogliere: Fonseca. Può salutarlo il club che a sua volta potrebbe essere salutato dal tecnico. Guardiamo oltre.
Difficile concentrarsi sugli investimenti che verranno fatti perché i Friedkin sono imperscrutabili. Hanno sintetizzato la loro mission nella definizione "calcio sostenibile" che farebbe presupporre morigeratezza e passi non più lunghi della gamba, consigliati dalla crisi pandemica ma soprattutto dalla contabilità ereditata (che fa discutere sui social Pallotta e i tifosi tra un ask Guido, un goodnight Mr President e una crocifissione di Monchi: che tristezza). Possiamo però individuare gli anelli deboli della catena Roma, e ipotizzare quanto costerebbe rafforzare l'organico.
Gioco facile, serve un portiere. Gioco banale, serve un centravanti. Gioco intuitivo, si può fare un salto di qualità in mediana. Da Gollini a Musso, da Cragno a Silvestri, la Serie A propone portieri tra i venticinque e i trent'anni che prospettano regolarità, quella che manca alla Roma forse da Szczesny, perché Alisson era troppo e ciò che è arrivato dopo è stato ed è troppo poco. Da Gollini a Silvestri, da trenta a una dozzina di milioni di euro, con l'atalantino forse più prendibile per i rapporti fra i club e la concorrenza interna di Sportiello che ora lo sta relegando in panchina. Il vero nodo sarà l'attacco, al di là del futuro di Dzeko, serve l'erede di Dzeko. Già, pure se restasse, perché l'età non è un'opinione, inimmaginabile una stagione, la prossima, col peso intero del centrattacco che grava sul bosniaco.
E Borja Mayoral? Guai a spostare tutto il suddetto peso sulle sue spalle. La Roma può tenerlo ancora un anno pagando soltanto l'ingaggio, è l'opzione più logica, se poi continuasse a migliorare, nel 2022 i venti milioni da spendere per il cartellino sarebbero benedetti. Ma serve un numero nove che "spacchi". Di Haaland che esplodono quasi minorenni ne nasce uno ogni cinque anni e beato chi se ne accorge per tempo. Di operazioni-capolavoro alla Dzeko se ne confezionano una ogni morte di Papa, ma l'usato sicuro che viene dall'estero spesso in Italia ti garantisce un figurone.
Da Jovic a Lacazette, fino a Icardi: dipende dal budget di cui disporrà Tiago Pinto. Che poi dovrà aguzzare l'ingegno per il salto di qualità in mediana. Se Veretout è il perno insostituibile, il centrocampo si può migliorare con un'integrazione di alto livello. Wijnaldum in scadenza e destinato al Barcellona, andava preso cinque anni fa. van de Beek, uno dei centrocampisti più intelligenti al mondo, che ha faticato a imporsi a Old Trafford, sarebbe il colpo da mille e una notte. La Roma, se sarà possibile, sulla seconda linea può crescere in caratura internazionale, sfruttando le crisi club-giocatore altrui, come si conviene a chi non è ricco e si fa forte delle idee e delle sinergie di mercato. Provando a trattenere quasi tutti i punti fermi, da Ibanez a Mancini, da Veretout a Villar fino a Pellegrini e Mkhitaryan, con le garanzie esterne di Spinazzola e del redivivo Karsdorp, l'imperativo sarà dare continuità a un lavoro, anche tattico, che promette ottimi frutti.
In the box - @augustociardi75