LR24 (AUGUSTO CIARDI) - Mettiamoci d'accordo: se la Roma fosse da scudetto, basterebbe allontanare l'allenatore per risolvere il problema. Facciamo ora un piccolo sforzo di memoria. Ci ricorderemo che a inizio stagione molti pensavano che la Roma partisse, da pronostico, non soltanto dietro alle quattro che l'avevano preceduta in classifica a fine campionato, ma forse addirittura alle spalle di chi aveva fallito gli obiettivi stagionali, ossia il Napoli e il Milan. Quindi, se la Roma dopo il girone di andata è in piena corsa per un posto in Champions League, sta facendo il suo se non addirittura più di quanto si potesse immaginare. E allora la domanda più banale che si possa formulare è: si può mettere in discussione un allenatore che sta facendo il suo se non addirittura di più?
Accogliamo una nuova obiezione: con Paulo Fonseca, la Roma sarà sempre in difficoltà negli scontri con squadre di alta classifica! Lecito, il dibattimento è aperto. Allo stesso modo è lecito chiedere un ulteriore sforzo di memoria: qual è il giocatore simbolo della discontinuità di rendimento, che faceva impazzire di gioia i tifosi quando era in giornata, e magari dopo una settimana li faceva disperare per indisponenza? State pensando a Vucinic? Siete in buona compagnia: se al top era da otto, ma a volte giocava da cinque, se non da quattro. Una carriera da sei e mezzo, per alcuni tendente al sette, per altri più vicina al sei. Vi ricorda vagamente la Roma di quest'anno? La cui classifica è la media tra i molti picchi che sa raggiungere i vuoti che infila nei match più complicati? E allora perché le (poche) volte in cui perde senza colpo ferire passiamo il tempo a cercare la causa dei sui cali di tensione?
È colpa della testa, è colpa della condizione fisica, è colpa della tattica quindi è colpa dell'allenatore, è colpa di una rosa che dovrebbe essere rafforzata, è colpa della società che non infonde senso di appartenenza al gruppo squadra? Forse la soluzione sta nella semplicità delle cose, quelle più banali, che in quanto tali spesso ignoriamo. E se il rendimento della Roma lo specchio de suoi valori assoluti? Se le sconfitte pesanti contro Napoli, Atalanta e Lazio non avessero cause da ricercare nell'imperizia del tecnico o nell'incapacità di reazione dei calciatori, bensì nei limiti oggettivi della squadra? Se esistesse la possibilità di ingaggiare Allegri o un top manager da almeno otto milioni di euro di ingaggio a stagione, forse anche il fan più convinto di Fonseca lo saluterebbe, a malincuore ma senza mille rimpianti. Perché Allegri non rappresenterebbe soltanto il tecnico che ha vinto cinque scudetti in cinque anni. Allegri significherebbe investimenti mai fatti sinora, acquisto di alternative in panchina di pari livello dei titolari, Allegri sarebbe la garanzia che la Roma ambisce a vincere lo scudetto.
Se la Roma a settembre lo ha contattato, ha ricevuto la stessa risposta incassata da Conte due anni fa: no, grazie. Magari in modo più elegante. Perché il livornese, per palmares, può ambire a un top club europeo e in Italia al massimo poteva essere (poteva) accostato all'Inter, che lo aveva sondato per sostituire Conte. In definitiva, per evitare lacerazioni di fegato, attribuiamo un valore alla Roma: se può ambire allo scudetto, allora fuori Fonseca, anche oggi, dentro Allegri, convinto da un super ingaggio e da un piano rafforzamento che porterà la Roma a dominare in Italia e a entrare nel gotha del calcio europeo.
Oppure, per non svegliarci affannati e sudati, prendiamo coscienza della realtà di un club che fatica per far quadrare il bilancio, che al massimo può ambire a lottare per un posto in Champions League, e che al termine del girone di andata sta facendo esattamente ciò che le compete. Con Fonseca in panchina, che assieme alla Roma può crescere e migliorare, perché nel calcio in crisi economica le svolte positive possono arrivare in casa, senza farsi ingrossare il fegato. Sposando il realismo.
In the box - @augustociardi75