LAROMA24.IT (MIRKO BUSSI) - E venne il giorno. Quelli che si sistemavano il colletto prima di mettersi la medaglia di essere stati i primi, prima dei primi, forse anche dei protagonisti stessi, a raccontare che la Roma e Conte si erano sentiti, visti e piaciuti, oggi controllano l’orologio prima di riadattare l’immancabile “te l’avevo detto”.
Conte non verrà alla Roma. Lo ha detto davanti a tutti, issandosi sul trono e aggravando il “no” alla Roma con il pizzicotto sulla guancia che si dà a chi fa tenerezza per aver osato tanto. CBCR si scriveva negli anni ’90 alle bambine carine sì ma troppo piccole per trascendere coi pensieri. Cresci bene che ripasso.
"Ora no". Magari mai più. Perché talmente deteriorata da anni in cui ha capovolto tutto senza trovare mai una strada che se non portasse alla vittoria quantomeno le permettesse di scorgerla all’orizzonte, la Roma, e gran parte di Roma, era disposta a vendersi l’anima al diavolo pur di ingigantirsi almeno un triennio. O un’estate. Un diavolo juventino, con tutto ciò che comporta, per altro. Ma chi se ne frega, alla fine, se sono più di dieci anni che all’ufficio "Albo d’oro" hanno perso le tracce di te. Se questo conta, e questo conta, venga Conte. Financo Conte, depurato tra Nazionale e Chelsea ma pur sempre Conte Antonio, anni 50 a luglio e 16 vissuti in bianco e nero.
Conte, come è uso e costume dei professionisti al banchetto del calcio, ha succhiato il sangue dalla Roma per far capire al resto dei commensali quanto fosse assetato. Fino a far svegliare, una mattina, Roma e la Roma nella sensazione dei dissanguati.
Questo, semmai, poteva essere risparmiato: perché doversi far rifiutare di colpo, o quasi, in pubblico dopo aver ammiccato, sempre a favore di telecamere, all’ipotesi? Perché, soprattutto, aver dato l’immagine di una società dove un allenatore, seppur bravo, avrebbe potuto (e dovuto…) ridiscutere anche il colore dell’arredamento. Una terra di nessuno dove Conte, per cominciare, si portava il direttore sportivo. Il paradosso massimo: sceglieva lui chi l’avrebbe dovuto scegliere. Andando avanti, chissà, Conte avrebbe anche parato al posto di Olsen o segnato per Dzeko.
Succede solo dove passa Guardiola. Vale a dire se decidi di abbandonarti completamente ad una determinata religione calcistica. E allora sai che probabilmente ti toccherà anche salutare in catalano. E’ forse questa la più terrificante ammissione di sconfitta della Roma: essere al punto di dover piantare un gigante a Trigoria affinché tutti, salendogli sulle spalle, riescano a scorgere orizzonti irraggiungibili oggi. Col rischio che i giganti, per le porte di Trigoria, fatichino a passarci.
@MirkoBussi - In The Box