LAROMA24.IT (Federico Baranello) - Trascorrere un paio d’ore con una leggenda della storia giallorossa riempie il cuore di gioia. Se poi la leggenda è Pedro Manfredini, il cuore viene addirittura travolto.
Lo contattiamo telefonicamente, ci presentiamo. Scambiamo qualche battuta, sembriamo vecchi amici e fissiamo un appuntamento. Il giorno concordato ci presentiamo in grande anticipo sul litorale di Ostia, dove Pedro è il sindaco in pectore. Mentre attendiamo ci tiene compagnia l’emozione degli appuntamenti importanti. Anche “Piedone” arriva con un buon anticipo. Lo vediamo arrivare da lontano, con una piccola sacca. Facciamo il classico cenno per dirci che ci siamo riconosciuti, che ci siamo capiti e ci avviciniamo. Istintivamente lo abbracciamo. Pedro si fa abbracciare. Sì, perché lui è uno di famiglia. Perché appartiene a quella generazione di uomini con cui i nostri padri si sono riempiti la bocca di giallorosso, narrando le loro gesta. Lui è noi, noi siamo lui. La tentazione di guardare nella sacca è enorme, è mezza aperta, non si può resistere: c’è un vecchio pallone. È quello utilizzato per la Finale di Coppa delle Fiere contro il Birmingham. Il nostro unico trofeo internazionale. Un pallone da mettere in una teca, costruirci una cattedrale intorno e renderlo meta di un continuo e devoto pellegrinaggio. Un giorno si farà.
L’occasione per incontrarlo e farci raccontare alcuni momenti della sua splendida carriera è la ricorrenza del 25 aprile. Giorno della Liberazione certo, ma anche la giornata in cui lui, un romano nato per sbaglio in Argentina, rifilò nel 1962 sei gol (dico sei) a coloro che il derby lo vivono sempre dalla parte sbagliata. Sei gol su rigore in una stracittadina valevole per gli ottavi di finale di Coppa Italia. Manfredini sarà spietato nella classica lotteria dei calci di rigore. Un merito da dividere anche con “Ragno Nero” Cudicini, autore di due parate durante l’esecuzione dei tiri dagli undici metri.
Non è stata una contesa facile per i colori giallorossi, anzi. La Roma è in formazione rimaneggiata per l’assenza di alcuni “Nazionali” quali Lojacono, Losi, Menichelli e Pestrin. Gli avversari invece partecipano al campionato di Serie B, dopo la retrocessione maturata nella stagione precedente. Di fronte a 40.000 spettatori e dopo 90’ di gioco, le squadre sono ancora inchiodate sul risultato di 0-0. Le due contendenti hanno alternato buone occasioni a gravi errori sotto porta. I tempi supplementari non cambiano la situazione.
“Ci sono voluti perciò, dopo centoventi minuti di gioco noioso, i calci di rigore. Tutti aspettavano Angelillo. Con la sublime incoscienza del goleador di razza, invece, è entrato in scena ed ha accettato la tremenda responsabilità Pedro Manfredini... - si legge sul Corriere dello Sport del giorno successivo, a firma di Ezio De Cesari - Non ha battuto ciglio. Il momento difficile è stato il primo tiro: ha sparato con rabbia e con violenza a mezza altezza…”.
Tra un caffè, una battuta e una chiacchiera “Piedone” ci racconta: ”Ero io il rigorista della Roma. Appena l’arbitro fischiò la fine dei supplementari andai a prendermi il pallone. Ero pronto!”. Il regolamento dell’epoca non escludeva la possibilità di far tirare a uno stesso giocatore anche tutti e sei i calci di rigore. “Pezzullo, il portiere avversario, era entrato nel secondo tempo”, prosegue il nostro campione, “Non è mai riuscito a intervenire. Tirai cambiando sia modalità sia l’angolo. Ne calciai tre di forza e tre di precisione. Il primo fu una botta secca, i successivi invece palla da una parte e portiere dall’altra”.
Cudicini para il terzo tiro dal dischetto a Longoni. Al sesto rigore giallorosso e conseguente sesto gol, Manfredini fissa il risultato sul 6-4. Il bomber giallorosso e Cudicini si abbracciano credendo sia tutto finito. L’arbitro pretende che il sesto rigore biancoceleste sia comunque battuto. E, siccome al peggio non c’è mai fine, Cudicini para anche quello. I giallorossi possono così festeggiare in maniera definitiva mentre gli avversari cominciano a concentrarsi verso il loro campionato: la Serie B.