LAROMA24.IT (Federico Baranello) - Il 25 ottobre 1981 va in scena all’Olimpico Roma-Fiorentina, valevole per la sesta giornata di campionato. La classifica vede la Juventus in testa con dieci punti e Roma, Inter e Fiorentina (con una gara in meno) con sette. La Fiorentina ha grandi ambizioni e si presenta senza aver ancora subito un solo gol in campionato. La Roma invece è reduce dalla trasferta in terra lusitana, valevole per gli ottavi di Coppa delle Coppe, dove è stata sconfitta per 2-0 dal Porto trascinandosi dietro un carico di malumori.
All’Olimpico regna la classica atmosfera anni ’80: 60.000 spettatori, torce e fumogeni nella cara vecchia Curva Sud e gli sponsor classici sulle maglie, Barilla per i giallorossi e J.D. Farrow’s per i viola. Nelle prime battute della partita le due squadre si studiano ma la Roma sembra la più vivace e la più vogliosa di portare a casa il risultato. Al 10’, sugli sviluppi di una rimessa laterale sotto la curva Nord, la palla arriva verso Ancelotti. Casagrande lo tocca da dietro, sembra nulla di particolarmente grave come tipo d’intervento. Il “Bimbo” fa un brutto movimento. Un urlo squarcia il pomeriggio. Va a terra, si prende la gamba destra con tutte e due le mani. Si agita per richiedere l’intervento dei medici in panchina. Si porta la mano sulla fronte. Falcao è il primo ad arrivargli vicino. Lui urla: “Il ginocchio…, m’è uscito il ginocchio… m’è uscito il ginocchio”. La diagnosi sarà pesante: rottura dei legamenti crociati.
Chissà, in quei momenti, se il suo pensiero è andato a Francesco Rocca che proprio qualche mese prima aveva dato prematuramente l’addio al calcio per un infortunio al ginocchio. È un film che a Roma spaventa. Rientrerà un anno dopo, nella stagione che condurrà la Roma in porto con il vessillo. Ovviamente la partita va avanti e al suo posto entra Maggiora. Al 20’ Capitan Di Bartolomei s’incarica di battere una punizione da quasi trenta metri. Si dice che in settimana sia stato oggetto di qualche critica dei compagni per la partita con il Porto. Allora su quella palla Agostino risponde alla sua maniera: classica rincorsa, classica botta e classico gol. Lui corre ad esultare verso la Nord e tutta la squadra gli va incontro. A fine partita, a chi gli fa notare (Galeazzi) se avesse fatto una partita “polemica”, risponde: "Io non faccio mai partite polemiche, io faccio sempre partite per me stesso e per la squadra... il calcio mi diverte…e faccio uno dei più bei lavori del mondo…ti danno dei soldi per divertirti". Semplice, onesto, corretto.
Al 36’ una delle più belle azioni di quel campionato, forse addirittura di quegli anni. Un’azione che ancora oggi è nei ricordi di chi ha vissuto quel periodo. Falcao recupera un pallone nell’area difesa da Tancredi poi comincia a guadagnare il centrocampo. Con la sua classica andatura, mentre da del “tu” al pallone mantenendo la testa alta, arriva a centrocampo dove serve Chierico. Mentre il compagno, di prima intenzione, la passa a Nela che è spostato sulla fascia, l’”Ottavo Re di Roma” comincia a correre verso l’area avversaria. Nela lo vede e lascia partire il cross. Il Brasiliano fa una cosa straordinaria, si avventa sul pallone e di tacco al volo serve Pruzzo che di testa, immancabilmente, gonfia la rete per la centesima volta, la settantesima in serie A. Lo stadio esplode mentre ci si stropicciano gli occhi con entrambe le mani, quasi non ci si crede.
La partita di fatto finisce qui. Ritorna in mente quando Dino Viola, in occasione della prima gara di Falcao il 30 Agosto 1980, chiede al “Divino” un numero ad effetto per conquistare il pubblico. Lui concede il numero e poi dice a Viola “Sono venuto a Roma per vincere e non per fare giochi di prestigio per il pubblico”. Questa volta non è necessario concedere un numero per il gusto di farlo, ma solo perché l’istinto ha detto che quello era il momento giusto. “Magari si poteva fare in altro modo” dirà a fine partita, “Ma, per come mi è stata data la palla, potevo fare solo questo e allora l’ho fatto”. Così, semplicemente.