GHISOLFI: "Koné e Angelino acquisti perfetti, Pisilli incarna ciò che vogliamo in squadra. Fantastico lavorare con Ranieri, sogna di rendere grande la Roma"

28/03/2025 alle 14:05.
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SKY SPORT INSIDER - Florent Ghisolfi, direttore sportivo della Roma, ha rilasciato un'intervista al sito dell'emittente televisiva e tra i vari temi trattati ha ripercorso la sua carriera , soffermandosi su alcuni acquisti della sua esperienza in giallorosso e sul rapporto con Claudio Ranieri. Ecco le sue dichiarazioni.

Direttore, lei è nato a Aubagne, vicino Marsiglia, ma ha origini piemontesi, se non sbaglio. Partiamo da qui, dal suo dal DNA italiano e dalle sue origini...
“Sì, tre su quattro dei miei nonni erano di origine italiana e questa è una cosa importante per me. La prima cosa che mi hanno raccontato è che erano immigrati italiani in Francia e che erano stati rifiutati dai francesi perché erano i ‘mangiapasta’. Questo mi ha insegnato a non fermarmi alle differenze con l'altro, non fermarmi alle differenze di cultura, di lingua, di accento. Mai accettare il razzismo. È una cosa che mi è rimasta impressa perché sono venuti in Francia per avere una vita migliore. Loro sono emigrati dall’Italia durante la seconda guerra mondiale e oggi io sono un immigrato in Italia, fa sorridere ma anche riflettere”.

Da bambino sognava di diventare un calciatore, una passione condivisa con suo padre e suo fratello, ci racconta?
“Sì, come molti bambini avevo il sogno di diventare un calciatore professionista. Avevo intorno a me una famiglia appassionata di calcio: mio fratello, mio padre e io avevamo sempre un pallone tra i piedi. Sono felice di aver realizzato questo sogno, anche se non ho avuto una carriera calcistica modesta. Ma sono grato di aver realizzato questo sogno perché penso che la vita sia più bella quando si inseguono i propri sogni e quando si dà loro un significato. Volevo diventare un giocatore professionista e successivamente un direttore sportivo. Sto ancora realizzando i miei sogni e sono molto felice per questo. So di essere fortunato”.

Appesi gli scarpini al chiodo a 30 anni, lei ha fatto una gavetta ‘particolare’ per diventare direttore sportivo: è stato allenatore di una squadra femminile, assistente allenatore di una squadra maschile, coordinatore sportivo al Lens e infine dirigente. Questo le ha permesso di sviluppare conoscenze e sensibilità diverse, fondamentali per il ruolo di direttore sportivo. Ci spiega un po' questo suo percorso e qual è, secondo lei, oggi la funzione del direttore sportivo nel calcio moderno?
"La prima cosa da sapere, che è un po' sorprendente, è che ho sempre voluto fare il direttore sportivo. Anche quando ero un calciatore il mio obiettivo era quello di diventare direttore sportivo. Sono sempre stato coinvolto sia nel calcio come giocatore che nel mondo degli affari e penso che il lavoro di direttore sportivo sia un buon mix tra questi due ambiti. Poi ho avuto la fortuna di fare diversi lavori prima di diventare direttore sportivo, come assistente dell'allenatore e allenatore, e credo che questo sia stato importante nella mia crescita per avere una visione un po' più ampia, per costruire lo staff e capire le sue esigenze, per accompagnare un allenatore, per capire le sue esigenze e i suoi problemi. Tutto questo mi permette ora di avere una visione più ampia, una qualità che credo sia davvero importante in questo lavoro. Dopodiché, credo che il lavoro di ds oggi implichi pianificazione e coordinamento: sei un ingranaggio al centro di tutto, giocatori, staff, allenatore, dirigenti, ambiente e media, e devi riuscire a coordinare tutto questo, avere una visione abbastanza chiara. Penso che se si parla poco di noi è perché le cose stanno andando bene, perché stiamo facendo un buon lavoro. Il mio obiettivo è soprattutto quello di mettere tutti i miei dirigenti nelle migliori condizioni possibili, che si tratti della squadra professionistica, delle giovanili, della squadra femminile e soprattutto del mio allenatore e dei miei giocatori, in modo che siano tranquilli, concentrati e che si trovino in un ambiente molto performante. Stiamo lavorando per costruirlo. È un lavoro che non dà subito i suoi frutti, anche se può avere un impatto abbastanza rapido, ma è un lavoro che in genere dà i suoi frutti un po' più tardi. Il mio più grande successo oggi è il mio passato di direttore sportivo. Ero al Lens, abbiamo lavorato, costruito, me ne sono andato e il club è andato a giocare la Champions League. Sono stato al Nizza, abbiamo lavorato, costruito, siamo saliti in classifica come con il Lens e oggi il club è in procinto di qualificarsi per la Champions League. Questo è il mio miglior biglietto da visita”.

Come sceglie i giocatori su cui puntare? Qual è il suo metodo e qual è la filosofia che segue per scegliere i giocatori?
“Siamo qui per costruire carattere e ambizione, quindi credo che la mentalità sia molto importante quando si sceglie un giocatore. La mentalità di un nuovo giocatore deve corrispondere a quella che vogliamo nella squadra. La Roma ha valori diversi rispetto a Juve, Milan e Paris-Saint-Germain, quindi stiamo prestando molta attenzione a questo aspetto. Naturalmente, oltre alla personalità del giocatore, guardiamo anche a quello che vuole l'allenatore e alle tipologie di giocatori che chiede. La scorsa estate volevamo ringiovanire la rosa e dargli un po' più di fisicità. Per fare un buon lavoro bisogna avere una buona struttura e noi l'abbiamo appena costruita. Sono arrivato a giugno e l'intero reparto scouting era a fine contratto, non c'era nessuno. Oggi abbiamo una struttura efficace. Credo molto nel potere dell'organizzazione e del gruppo, non nel potere di una persona singola. L’obiettivo è fare scelte giuste, coerenti e positive in modo che alla fine il club diventi sempre più forte. Quando si parla di selezione dei giocatori, è sempre una scelta collettiva condivisa con le persone che lavorano con noi, soprattutto con l'allenatore”.

Prendiamo il caso di Koné, perché lei era così sicuro che sarebbe diventato un giocatore importante per questa Roma?
“Come ho detto prima, è stata una scelta collettiva. Io ero convinto ma anche l'allenatore, che al tempo era De Rossi, e tutti eravamo certi che avesse le qualità giuste a livello di fisicità, tecnica e anche di mentalità. Sappiamo quanto sia difficile per un nuovo giocatore inserirsi nella Roma, ma Manu ha il carattere per imporsi velocemente. E noi dobbiamo ispirarci a questo tipo di acquisto, perché è il profilo perfetto per aiutare la squadra a progredire in tutte le caratteristiche che cerchiamo oggi per diventare più forti. Il merito è di Manu: si è integrato molto rapidamente e ha giocato da subito molto bene. Sono molto orgoglioso, molto soddisfatto per lui e per il club”.

Il rinnovo di Pisilli, che è un talento cresciuto nel settore giovanile della Roma e che faceva gola a tanti club, è la dimostrazione che gioventù e identità sono le basi del futuro della Roma?
“Sì, esattamente. Come ho detto, volevamo ringiovanire la squadra, abbiamo parlato di Manu e ora di Pisilli. Anche lui è un giocatore con una grande mentalità. Vuole sempre dare tutto per il club, per la squadra e per i tifosi. Ha qualità tecniche e anche fisicità. È un ragazzo che corre molto, ha intensità ed è aggressivo. E poi se si parla di identità… lui è proprio quello che vogliamo nella nostra squadra. Pisilli è un ragazzo fantastico, mi congratulo con i suoi genitori per l'educazione che gli hanno dato. In campo si vede che ha carattere, ma un buon carattere. Vuole aiutare la squadra a vincere, si prende le sue responsabilità quando la partita lo richiede. Tutto questo mi piace molto”.

Ci parla del suo rapporto con Claudio Ranieri? Dopo i primi mesi molto difficili con i due cambi in panchina, non avrebbe potuto scegliere uomo migliore per raddrizzare la stagione della Roma. Come ha deciso di puntare su di lui e cosa la colpisce di più di Ranieri?
“Eravamo in una situazione difficile e la scelta di Ranieri è stata molto importante per il club. Eravamo in una tempesta e avevamo bisogno di qualcuno che ci guidasse e ci aiutasse. Abbiamo parlato molto con la proprietà di Claudio. E' una persona che porta molta calma, molta serenità, ma allo stesso tempo anche molta forza. La sua è una ‘forza tranquilla’. E poi ha tantissima esperienza. Ha una grande conoscenza della Roma e di Roma, la città, cosa che è molto importante. Per me è un'esperienza fantastica lavorare con lui, ancor più dal punto di vista umano che professionale, perché è un gentiluomo. Anche nelle situazioni di alta pressione ha sempre il sorriso sulle labbra. E' un'esperienza semplicemente magica. È la sua ultima sfida, credo, alla Roma e ha dentro di sé il sogno di portare il club a qualcosa di grande. Fa sempre le cose con il cuore, ancora di più qui, perché è il suo club e la sua città. Quello che io devo fare è dare tutto perché sia nelle migliori condizioni possibili per realizzare il suo sogno e perché il club possa andare avanti e migliorare”.

Angelino non è un giocatore scelto da lei, è arrivato l'anno scorso ed era stato accolto anche con un po' di scetticismo. Oggi è il simbolo di una squadra che ha ritrovato il piacere di giocare, di divertirsi e di farlo sempre in maniera offensiva. Cosa vede nella nell'ascesa di Angelino e nel suo essere un simbolo di questa squadra?
“In un certo senso è anche una mia scelta, visto che il suo riscatto è stato uno dei primi argomenti affrontati quando ho firmato per il club. Abbiamo parlato con la proprietà e con De Rossi per decidere se esercitare o meno l'opzione di acquisto. È stata una decisione collettiva per dire ‘sì, vogliamo continuare con questo tipo di giocatore’. È un calciatore affidabile, raramente infortunato, con un grande atteggiamento e grandi qualità. Non dobbiamo dimenticare che Angelino ha giocato a un livello molto alto a Lipsia, forse dopo ha avuto qualche difficoltà in più, ma oggi sta tornando a quel livello. Nel calcio lo stesso giocatore può darti 8 o 9 su 10 ma anche 3 o 4, dipende tutto dal suo stato di salute, da come sta fisicamente e mentalmente, dalla sua mentalità e dall'ambiente lo circonda. Angelino ha tante qualità, con e senza la palla, credo sia il giocatore perfetto per la Roma e per il nostro sistema di gioco. Sono molto contento che stia facendo così bene”.

La Roma nel 2025 è la squadra che ha fatto meglio di tutti, viene da 12 risultati utili consecutivi in campionato ed è risalita fino al settimo posto. È giusto non porre limiti alla vostra rincorsa verso l'alto fino anche alla lotta per il quarto posto?
“Noi non ci poniamo questa domanda, perché sappiamo da dove veniamo. Abbiamo attraversato la tempesta e ora siamo concentrati, non vogliamo mollare, questo è certo. Vogliamo dare il massimo per vedere dove arriveremo. Visto il punto di partenza, non possiamo porci limiti. Non possiamo nemmeno avere paura. Abbiamo la bava alla bocca, il coltello tra i denti e siamo pronti a continuare così e a dare il massimo. Oggi siamo riusciti a creare una famiglia. Abbiamo un gruppo unito in cui tutti danno il massimo per la squadra”.

Fuori dal calcio cosa ha imparato ad amare di Roma e del nostro Paese?
“Sono felice di scoprire questa nuova cultura e la grande storia di Roma. A Roma c’è uno stato d'animo particolare, un temperamento, dei valori, un sacco di calore e sono molto felice di essere qui. Sto imparando molto anche sul calcio, che è diverso da quello francese. Qui ci sono molti club forti e tante persone competitive. È un'esperienza di crescita incredibile. C'è una grande differenza tra Italia e Francia. In passato mi sono chiesto perché i club italiani avessero prestazioni migliori in Europa rispetto a quelli francesi e oggi lo capisco. È una questione di mentalità, di determinazione e tante altre cose che sto imparando oggi. Sto anche cercando di portare la mia cultura e le mie caratteristiche. Questo è un ambiente in cui mi sento bene e in cui voglio dare il massimo”.

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