'The Obi One' è il podcast condotto da John Obi Mikel, ex centrocampista nigeriano che arrivò al Chelsea proprio durante il regno di Josè Mourinho. E proprio l'allenatore portoghese è intervenuto nell'ultima puntata raccontando: "Obi Mikel è uno dei miei ragazzi, ora sono alla Roma e ho i miei ragazzi anche qui. Alcuni di 18 anni, altri di 40. Quando uno di voi mi chiede qualcosa, lo faccio". Tra risate e battute, come quella in cui il co-conduttore dice a Mourinho che Obi-Mikel si vedeva come un ottimo numero 10, con la risposta del portoghese: "Magari nella sua Nazionale poteva fare ciò che voleva, nel Chelsea meno...".
Quindi, più seriamente, Mourinho risponde alla domanda sul motivo per cui amava Obi-Mikel come giocatore: "Mi piaceva tutto di lui, se esamini i centrocampisti posizionali, come li chiamo, che ho avuto in carriera ci sono molte similitudini. Tolto Makelele che era basso, erano tutti alti e forti fisicamente con una buona occupazione dello spazio e con quella che chiamo "semplicità del calcio" che è fondamentale in quella posizione. Le persone a volte confondono il giocatore creativo con uno che gioca semplice. In alcune zone del campo la creatività va bene, in altre aree la semplicità è il genio. La squadra ha bisogno di equilibrio e deve darlo quando la squadra ha e non ha il pallone. Devono essere umili, nel senso di pensare che la squadra sia più importante di loro, quello che dò alla squadra è più importante di quello che la squadra dà a me e forse per questa stasera Obi vuole fare il numero 10, per essere il 'top guy'...(ride, ndr) ma con me al Chelsea era un fantastico centrocampista posizionale molto veloce nel pensare, un tocco o due tocchi, rendeva tutto semplice".
Dal Chelsea alla Roma, poi, il discorso di Mourinho entra nello specifico della sua avventura nella capitale: "Ora sono alla Roma, è un profilo diverso rispetto al Chelsea dove sono stato, con ambizione diverse, ma mi piace tantissimo. Amo stare qui a Roma ma sono alla fine del mio contratto. In questa situazione è una scelta che spetta al club. Ti siedi e ne parli, oppure no. Io intanto mi concentro sul presente, sul dare tutto. È un bellissimo club con belle persone. I giocatori non sono i più forti del mondo, ma sono buoni giocatori e bravi ragazzi. I tifosi sono incredibili, la città è meravigliosa. Abbiamo le nostre ambizioni, ci sono squadre con più potenziale. Ma combattiamo. Ci piace stare insieme e quando ti piace stare insieme e non solo lavorare insieme vuol dire che sei nel posto giusto".
Sui racconti di John Terry dei suoi sfoghi dentro lo spogliatoio, Mourinho fa un paragone con la situazione attuale alla Roma: "Sì lui sa tutto, si ricorda tutto. Una delle cose che dico oggi anche ai miei ragazzi qui a Roma è che se fossi esattamente lo stesso di come ero in quello spogliatoio del Chelsea, loro non giocherebbero. Perché c'erano momenti in cui ho distrutto tutto, lettini dei massaggi per aria, ma sapevo che quei ragazzi avrebbero distrutto tutto al ritorno in campo. Lo puoi fare solo con alcune personalità, se lo fai con i ragazzi sbagliati nel secondo tempo non vogliono neanche la palla, si nascondono a vicenda".
Sul record di 9 anni senza partite perse in casa, Mourinho dice: "Non lo so, è un qualcosa che riuscivo a creare in ogni squadra, al Tottenham era diverso perché erano gli anni del Covid e gli stadi erano vuoti, ma è importante l'aiuto del pubblico. Anche loro giocano insieme alla squadra".
Sul Manchester United: "I tifosi del Manchester United sanno che ho dato tutto, sanno quanto amo il club. Il secondo posto è stato il miglior da Sir Alex Ferguson, la vittoria in Europa è stato il miglior risultato negli ultimi 10 anni. Ho dato tutto, la mia natura è parlare delle cose belle del passato. In quel club ci sono ancora persone, e parlo anche di calciatori, dei quali dopo due mesi ho detto 'con loro non ce la farete mai'. E sono ancora lì e hanno ancora un amministratore delegato che è una persona straordinaria, che mi sarebbe piaciuto avere avuto durante il mio periodo lì, si tratta di Richard Arnold, che probabilmente ora se ne andrà. Lo avevo come direttore commerciale, non come amministratore delegato, e mi sarebbe piaciuto averlo al mio fianco durante la mia permanenza. Il club non era facile. Non ho rimpianti perché ho dato tutto. Quando ero allo United cambiai un giocatore all’intervallo e il suo agente mi accusò di bullismo. Con Matic a Stamford Bridge l'ho messo e l'ho tolto. È educare, allenare, è fare tutto per vincere. Dovevo cambiare. Sono tempi diversi. Ma è come essere papà: devi essere un padre diverso da come lo è stato tuo padre per te. Devi cambiare in relazione al mondo".