Ancora dichiarazioni rilasciate da Josè Mourinho, dopo quelle circolate ieri in mattinata: l'allenatore della Roma ha parlato a tutto tondo ai microfoni del periodico portoghese, raccontando fra le altre cose anche del colpo di fulmine con i Friedkin. Questo uno stralcio della sua intervista:
“Mi hanno contattato il giorno stesso in cui fui esonerato dal Tottenham. La Roma mi ha voluto fortemente, è stata una cosa istantanea o quasi, la mattina il Tottenham mi ha esonerato e il pomeriggio la Roma mi ha chiamato. Loro mi hanno voluto, mi hanno fatto risentire la passione per il calcio che c’è in Italia e che conosco, specialmente a Roma dove non si vince un trofeo da 20 anni. I Friedkin, i nuovi proprietari con un approccio professionale e umile, mi hanno trasmesso il loro entusiasmo per questo nuovo incredibile capitolo professionale della loro vita, sono stati veramente obiettivi, onesti e sinceri con me, mi hanno fatto sentire la passione per questo lavoro, mi hanno colpito per come si sono approcciati a me. Ho commesso anche io degli errori e ho sbagliato ad accettare alcuni progetti, a volte mi hanno spinto a scegliere situazioni che non avrei dovuto… sono andato a Manchester in un momento di transizione, poi al Tottenham che non ha una storia di successi, e ora la Roma con una nuova proprietà, ma in questo caso con la Roma ho percepito subito grande empatia con i Friedkin, con Pinto, hanno stimolato in me il fuoco e la passione per questo lavoro, c’ho messo pochissimo a dire di sì e ora mi tufferò in questa missione impossibile, che definisco impossibile nel senso che la gente mi considera e mi guarda considerandomi in un solo modo: un vincente. Se tornassi in Portogallo ad allenare il Belenenses o il Gil Vicente e non vincessi, non lo chiamerei un successo”
Su un ritorno in Portogallo:
Se tutto si incastra nel modo giusto, un giorno mi vedo ad allenare la nazionale portoghese più che un club. L'esperienza però mi ha insegnato che nel calcio non si può mai dire 'mai'. Sembra una parola gigante ma alla fine è piccola piccola
Sul successo dello Sporting:
"Penso sia difficile individuare un solo fattore, credo ce ne siano diversi. Ci sono tante ragioni che hanno fatto sì che accadesse. Se dovessi individuarne qualcuna comincerei sicuramente con il mio giovane collega, è stato un leader. In squadra poi ci sono giocatori affamati di vittoria, che non si sono adagiati. E penso che il fatto di giocare una partita a settimana abbia giocato un ruolo nello scontro a distanza con il Porto, che spesso ha dovuto giocare partite molto impegnative in coppa, come le doppie sfide con la Juventus, con il Manchester United e con il Chelsea. Così tenere il ritmo dello Sporting è stato più difficile, ma questo è buono per il calcio portoghese.
Sui cambiamenti del calcio dalla vittoria della Champions con il Porto:
Dipende, c'è un mondo al di fuori ed uno all'interno del calcio. I cambiamenti più grandi ci sono stati al di fuori. In campo il gioco si è evoluto in modo naturale. Anche le regole sono cambiate, con l'effetto di cambiare l'approccio a questo sport. Fuori le cose sono cambiate a tutti i livelli. Credo che questo cambiamento si fermerà solo quando i computer smetteranno di prendere decisioni per noi. Siamo al punto in cui dobbiamo ricavare il meglio di ciò che la tecnologia ci dà.
Sull'impatto del VAR:
Per cominciare in maniera oggettiva e pragmatica lasciami dire che non festeggio più i gol. Per la mia esperienza ogni volta che la mia squadra segnava un gol guardavo il guardalinee, e se correva verso il centrocampo esultavo immediatamente. Ora guardo lo schermo o il monitor che posso avere accanto in panchina, aspetto, aspetto, aspetto, e sono sicuro sia gol solo quando il gioco riprende a centrocampo. Al livello emozionale è una grossa differenza. Prima del VAR c'è stata l'introduzione della Goal Line Technology, che per me è sempre stata fantastica. Specialmente considerando che ho perso una Champions per un pallone che non era entrato completamente. Per quanto riguarda il VAR, nelle prime riunioni ci dissero che serviva a correggere errori grossolani. Pensammo fosse ottimo, nessuno vuole perdere o vincere per errori ovvi. Ma un conto è quello che ci dissero, un altro è come si comportarono. siamo ad un punto in cui chi controlla il calcio deve fare qualcosa. Per me un errore evidente è quando 10 persone guardano una partita e sono tutte d'accordo che l'arbitro abbia sbagliato. Ho parlato con molti arbitri per un sacco di tempo e tutti dicono che non vogliono commettere errori evidenti per poi andare a casa e rimanere a pensare che hanno influito decisivamente sul risultato di un match, e che vorrebbero essere corretti dal VAR. Questo è quello che doveva succedere, ma che non è successo. Il calcio sta cambiando e i sentimenti attorno ad esso cambiano con lui.
Sulla SuperLega:
Ho 58 anni e più di 30 di calcio professionistico alle spalle, ma sono ancora il bambino che giocava davanti casa sua con delle porte i cui pali erano dei sassi. Sono ancora quel bambino. E quando qualcuno mi parla di SuperLega, anche se è parte dell'industria di cui io vivo, preferisco continuare ad essere quel bambino e continuare a condividere quel sentimento con il ragazzo di 20 anni che ho a casa, e che mi ricorda della mia giovinezza. Credo di aver detto già tutto al riguardo.
Sulla famiglia e i trasferimenti:
Preferisco parlare del risultato: due giovani, cittadini del mondo, con molti amici e che hanno grande facilità di integrarsi e socializzare. Preferisco parlare di questo piuttosto che del fatto che in certi momenti non è stato facile. Per me sì, ma non per gli altri componenti della famiglia. Non ho rimpianti e sono felice sia andata così.
Sul trasferimento a Roma con la famiglia:
Siamo un po' dipendenti e indipendenti dai nostri figli. Diamo loro spazio per correre ma allo stesso tempo gli stiamo sempre incollati. Hanno la loro vita, la loro indipendenza. Noi abbiamo bisogno di loro e loro di noi, a volte stiamo insieme ed altre divisi. La nostra base è Londra, perchè è la base dei ragazzi. Ma staremo insieme anche a Roma, in Portogallo - che è e sarà sempre casa nostra -... E' così, dipendenti-indipendenti.
Sui social media:
Su Instagram ho il mio unico account social ufficiale. Utilizzandolo mi proteggo, postando quello che voglio senza leggere commenti, seguire altri... Insomma cerco di non dar retta ai messaggi di supporto o aggressivi. Nel mondo del calcio qualcuno la vede diversamente da me. La mia sensazione è che la carta stampata di un tempo doveva fare i conti con molte più responsabilità. C'era un'etica diversa che oggi non riscontro più. I social media ti permettono di copiare e incollare, e il più delle volte da quello che vedo ciò che viene incollato è una bugia. Quindi c'è una diffusione enormemente maggiore di bugie e speculazioni perchè di tutto questo non si risponde in nessun modo. Tornando alla tua domanda, soprattutto nel calcio inglese succede che un account anonimo ti permette di fare attacchi razzisti, xenofobi, omofobi e simili. In Inghilterra si discute molto di questa questione, e non c'è molto che i club e i loro tesserati possano fare al riguardo, pur avendo grosse istituzioni alle spalle. Devono essere i giganti social a cambiare le cose vietando che si insultino le famiglie o che si offenda in modo razzista.
(GQ Portugal)