PANENKA - Alla rivista spagnola ha rilasciato una lunga intervista Gonzalo Villar, centrocampista arrivato a gennaio in giallorosso. Le sue dichiarazioni:
Come stai gestendo la situazione? Ti ci sei trovato quasi immediatamente dopo essere arrivato.
“È un peccato che tutto questo sia successo poco dopo che sono arrivato, ha danneggiato tutti. Avevo 4-5 amici qui e sono dovuti scappare via perché era stato decretato lo stato d’emergenza in Italia. Ovviamente, non puoi rimanere con il timore di non poter tornare a casa. Sono passati 45-50 giorni e, fortunatamente, sto bene, ma la verità è che questa non è una situazione piacevole per nessuno”.
Ti sei adattato bene?
“Beh, mi sono adattato abbastanza bene. Ho la fortuna e la capacità di necessitare di poco per adattarmi alle cose. Non sono abituato a lamentarmi: se la situazione è questa, è questa. Devo sfruttare qualsiasi cosa e andare avanti, e questo è quello che mi ha portato a essere dove sono”.
Hai anche detto che la Roma ti ha fornito bikes, pesi e diversi strumenti per allenarti al meglio.
“Sì, ci stiamo allenando in videochiamata e veniamo monitorati per dimostrare che ci siamo allenati. La Roma è un club fantastico. Sono qui da quasi due mesi e la verità è che non ci sono difetti. Dal momento in cui arriviamo la mattina fino a quando andiamo via dopo mangiato, tutto quello che facciamo qui, almeno nel mio caso, è piacevole. È un club nel quale spero di poter trascorrere tanti anni: significherà che sto facendo bene. Si prendono una gran cura di noi, ci chiedono come stiamo, ci portano anche le cose a casa in modo tale da non correre rischi”.
Nel giro di due settimane la tua vita è cambiata totalmente, dal giocare in Segunda con l’Elche al debutto in Serie A con la Roma. Come l’hai vissuta? Quali sono le tue emozioni?
“È stato un grande cambiamento. E, davvero, a volte mi fermo e penso che ho debuttato in Serie A senza giocare in liga. Non so a quanti giocatori sia successo. Sta andando bene, perché il mio sogno da quando ero un bambino di 4-5 anni era di giocare in un campionato di primo livello e di giocare per una delle squadre migliori: è successo, ma in questo caso in Italia, perché la Roma è una delle quattro grandi d’Italia. A 21 anni è stato un grande cambiamento, ma è quello per cui ho lavorato e mi sono sacrificato da quando sono piccolo. A parte i sogni, ero praticamente ossessionato col calcio. Ricordo che quando avevo sei anni, quando mio zio German voleva portarmi alla fiera insieme ai cugini, mi rifiutai perché gli dissi che dovevo allenarmi. Stavo a casa da solo, allenandomi facendo battimuro. Alla fine, se hai un sogno e lavori per questo, hai più possibilità di realizzarlo”.
Il tuo rendimento all’Elche lo scorso anno è stato spettacolare. Quali fattori hanno inciso?
“A parte ciò che si dice a proposito del lavoro, della costanza e dell’umiltà, parlerei della pazienza. Non succede niente se non giochi, per esempio, nella Division d’Honor e in nazionale giovanile; forse l’anno successivo, se lavori duro, ti alleni e mostri che sei migliore di quello che sta giocando, avrai l’opportunità di migliorare e poter giocare in prima squadra. Tutto cambia molto rapidamente nel mondo del calcio. Quindi, penso che la pazienza sia un fattore chiave, insieme al lavoro. Con questi due elementi, credo che si possa raggiungere il successo”.
Quindi il fattore mentale è la chiave, oltre al lavoro duro e a un po’ di fortuna, giusto?
“Il fattore mentale è la chiave, rientra nel concetto di pazienza. Nel mio primo anno all’Elche ho giocato molto poco, primo perché non raggiungevo il mio valore potenziale e non meritavo di giocare, perché Javi Flores lo stava facendo in modo spettacolare. Inoltre, mi sono infortunato ed è stato un anno abbastanza tosto per questo. Quando diventi ossessionato col calcio è peggio. Pensi se ti stai allenando male o no e che questo sia un fattore nelle partite future. Alla fine, smetti di pensare, ed è solo calcio, la vita ha tante altre cose. Ma mi rifugio sempre negli studi, nei miei amici e nella mia famiglia per poter condurre una vita più bilanciata. Sono stati con me in tutte le situazioni, specialmente nei momenti negativi. Penso che questo possa aiutare a ribaltare ogni situazione”.
Anche se sei solo 22enne, sei diventato una sorta di leader in campo quando giocavi nell’Elche. Hai avuto paura di non riuscire a sopportare la responsabilità?
“Sì, sì. I cambiamenti vissuti da un giocatore con fiducia sono qualcosa che non può essere immaginata dall’esterno. Per esempio, Luka Jovic. Quest’anno non si è visto molto perché non ha giocato molti minuti e non ha avuto molta fortuna davanti alla porta. Con più minuti e più fiducia le persone penserebbero che sia un calciatore totalmente differente da quello che conosciamo. Una delle principali caratteristiche che ho è che voglio sempre il pallone. Mi piace quando sento che la squadra si affida a me e posso dirigerla. A volte si commettono errori, ma riprovare è sempre la soluzione, non sono un tipo che si nasconde. Mi piace molto quando a fine partita ho toccato 70 palloni con un senso. Mi fa pensare di aver fatto una grande partita”.
Sei nel giro dell’Under 21 spagnola. Come ti sei sentito a debuttare e avere la fiducia di de la Fuente?
"È incredibile, lo metterei quasi sullo stesso piano del debutto con la Roma, o anche di più. Per me, andare a Las Rozas e giocare con la nazionale spagnola è sempre stato un premio. Non vedevo l’ora di essere chiamato per confermare quello che avevo dimostrato, godermi gli allenamenti con persone di grande qualità. Quando mi hanno chiamato quest’anno, è stato un punto di svolta nella mia stagione, mi ha dato grande fiducia e ha anche significato un aumento della mia autostima per quello che stava per arrivare. Non ho parole per descriverlo”.
Al debutto contro il Montenegro, appena entrato in campo hai dato a Cucurella un assist dopo una bella giocata collettiva con Olmo e Ferran Torres. Questo è partire col piede giusto!
“(ride, ndr) Sì, lo è. Il primo pallone che ho toccato è poi finito in rete. La sensazione di quando realizzi un assist e dai quindi qualcosa a qualcun altro, non l’ho sentita con nient’altro di diverso dal calcio, lo giuro. Sono sempre stato abbastanza generoso, forse troppo. A volte gli allenatori mi hanno detto che dovevo tirare di più, ma non ha funzionato, la prima cosa a cui penso quando arrivo verso l’area è passare il pallone. La priorità di un attaccante è tirare, la mia quella di dare un vantaggio a un compagno”.
Com’è andata la trattativa con la Roma? Sappiamo che il Valencia deteneva una parte dei tuoi diritti.
“Guarda, ero a casa il 10 dicembre e ho ricevuto una chiamata urgente dai miei agenti. Ci siamo visti quello stesso pomeriggio e mi hanno detto qualcosa che non dimenticherò mai, vale a dire che la Roma avrebbe acquistato Gonzalo Villar a gennaio. Il club cercava un centrocampista con il mio profilo, e tra quattro possibili calciatori ha scelto me. Dopo un mese, mi hanno detto che la situazione era completamente cambiata, che Paulo Fonseca non mi voleva a fine stagione come programmato, ma ora. La trattativa è stata dura, perché Roma e Valencia mi hanno conteso. Ci sono stati diversi momenti di nervosismo a gennaio, perché tutto ciò che dall'esterno sono voci. Siamo giovani e non è facile gestire la situazione, specialmente con l’incertezza e mentre devi giocare al massimo livello ogni weekend. Alla fine, tutto è andato bene e fortunatamente sono alla Roma”.
Penso che, una volta finito tutto, tu ti sia sentito sollevato ma anche nervoso di arrivare in una delle più grandi squadre italiane. Racconta qualcosa sul tuo adattamento in uno spogliatoio pieno di giocatori come Dzeko, Kolarov e Pastore.
“Una delle prime persone con cui ha parlato è stato l'allenatore, Paulo Fonseca, che mi ha detto ciò che voleva da me in campo. È un allenatore che ti sta molto vicino, con idee molto chiare. I primi giorni devi credere di essere un giocatore di quel livello, nonostante sia difficile assimilare che da un giorno all'altro giochi con calciatori come Dzeko, Perotti e Zaniolo. E' qualcosa che ancora mi stupisce, perché in realtà sono ancora un bambino. E' bello, significa che hai realizzato i tuoi sogni, per i quali hai lavorato fin da quando sei bambino. Quindi posso solo godermela e, soprattutto, sfruttare questa situazione”.
Essere arrivato in un club straniero così giovane è un passo per avere successo in questo mondo, a prescindere dal campionato dove giochi, o ti piacerebbe tornare con una maggiore maturità nel campionato spagnolo?
"Nel mondo del calcio non puoi tracciare un percorso. Provo solo a giocare nel miglior modo possibile per realizzare il mio sogno di giocare in una prima divisione, cosa che ho già realizzato, giocando in Serie A. Al momento sono felice. Spero di poter passare tanti anni qui a Roma. Le persone si sono molto affezionati a me nonostante io abbia giocato solo 4 partite e alcuni tifosi mi hanno addirittura chiamato per dirmi che non mi lasceranno mai solo (ride, ndr). Mi piacerebbe molto tornare a giocare in Spagna”.
Sapendo quello che Fonseca ti chiede, in cosa pensi di dover migliorare di più?
“Arrivare qui è stato molto difficile, nonostante io abbia 21 anni. Ho fatto un salto molto grande e ancora devo migliorare molto. Vorrei capire meglio il gioco per poter prendere sempre la decisione migliore. Vorrei anche migliorare il mio fisico, perché la Serie A è un campionato molto fisico e questo è un aspetto in cui non sono mai stato eccezionale, penso mi abbiano preso per altre qualità (ride, ndr). Da quando sono arrivato ho fatto molta palestra, aumentando di 2,2 kg il mio peso muscolare in un tempo molto breve”.
Dici sempre che hai prestato molta attenzione alle figure di Dani Parejo e Andrés Iniesta. Hanno influenzato il tuo modo di giocare? Ed oltre a loro?
“Non so se definirla influenza. Provo a imparare da loro per correggere i miei errori e trarre il meglio dai giocatori dai quali posso prendere ispirazione nel modo in cui gioco. Crescendo, ho guardato molti video di Iniesta, perché era un maestro di conduzione, straripava pur non essendo molto veloce, come a volte succede a me quando porto il pallone tra i piedi. Anche Parejo mi è servito da esempio su come si possono superare le linee di pressione con un singolo passaggio, a giocare con un ritmo calmo e a costruire una forte personalità come la sua”.
E hai creato il tuo modo di giocare.
“Ogni giocatore gioca come sa. Se volessi giocare come Cristiano Ronaldo ovviamente non ne sarei capace (ride, ndr). Ci sono giocatori e allenatori che ti influenzano, che ti dicono cosa puoi o non puoi fare, e sei tu a decidere cosa accettare e cosa no. Ricordo che avevo un allenatore che mi disse che portare il pallone era roba da bambini e io ero scioccato. Ho deciso di non accettare quel consiglio perché quella era una parte importante del mio gioco che mi avrebbe aiutato a diventare un calciatore. Quando sono arrivato all’Elche, Pacheta il primo giorno mi ha detto di portare il pallone se ero bravo a farlo. È stato un consiglio che ho molto apprezzato punto. Devi imparare a sapere quando portare il pallone e lo puoi fare solo provandoci. Fortunatamente le decisioni che ho preso sono state quelle giuste. In breve, devi sapere quali consigli accettare e quali no”.
Parlando di imparare, anche se sei a Roma da solo e la tua vita è completamente cambiata, stai ancora studiando per costruirti un futuro quando uscirai dal mondo del calcio?
“Sì, sto studiando alla UCAM Business Administration and Management. Sono a metà tra il secondo e il terzo anno. Mi restano un paio che non so quando potrò finirli, ma voglio farlo. Laurearmi renderebbe orgogliosi anche i miei genitori, che mi spingono a continuare a studiare”.
Quali sono le aspirazioni della carriera calcistica di Villar?
“Il mio obiettivo e desiderio è quello di giocare con la nazionale. Ho fiducia di potercela fare. Debuttare e farne parte in modo stabile sarebbe un sogno e un obiettivo che ho fissato. Per quanto riguarda i club, spero di diventare un giocatore importante per la Roma e di riuscire ad avere una carriera all'altezza di quella dei grandi giocatori spagnoli”.
Essendo un calciatore di tocco, al quale piace avere il pallone e fare un gioco offensivo, ti vedi un giorno come allenatore?
“Beh, non lo so. Non ne sono sicuro. Il calcio è una cosa che logora molto. Per ora sono molto felice, ma non so come e quando finirò. Non chiudo la porta, potrebbe piacermi. Come ho detto, dipenderà anche da come arriverò alla fine della mia carriera, anche perché molti calciatori sono molto sotto pressione. Forse deciderò di andare in televisione (ride, ndr). Chissà”.