IL MESSAGGERO - Comunque vada a finire (facciamo finta di non saperlo), una cosa va detta prima che tutto svanisca. Non ci sono grandi squadre. Non se ne vedono, in Italia, di complete. Che abbiano i giocatori al punto giusto, una difesa che difenda sul serio e un attacco che sappia attaccare. Squadre che possiedano un gioco tale che uno le vede e dice: guarda che bellezza, la riconosco, è lei. Forse il Milan, quando la vena lo sorregge e Ancelotti può utilizzare i calciatori suoi e non quelli che gli passa il ricchissimo convento.
Ma anche il Milan, se proprio vogliamo che tra un anno ritorni a giocare una finale di Champions, deve per forza di cose sottoporsi a una cura di bellezza e di rilancio fisico e giovanile. Maldini lascia, Nesta non si sa, Inzaghi continua, ma non potrà farlo per sempre, anche se vorremmo. Favalli ha una certa età. Zambrotta e Jankulovski pure. Lo stesso Gattuso, ferendosi, ci ha fatto capire di non essere di ferro e a Pirlo stanno per venire i capelli bianchi. Cè del lavoro da fare.
Lo si è visto ieri sera. Doveva vincere per sfruttare il pari interista e non solo non cè riuscito (uno a uno), ha anche fatto una figura peggiore rispetto alla Juve, che nellinsieme ha combinato di più, pur manifestando i difetti consueti e che costringeranno i dirigenti ad aprire la cassaforte e a ritoccare il profilo bianconero: scarsa geometria in mezzo e difesa arroccata attorno a Chiellini. E cera Zanetti, il solo in grado di fare il regista, peccato i tanti infortuni che finiscono per complicargli tutti i campionati. Juve solida, concreta, testarda e con un campione italiano: Iaquinta. Del Piero inizialmente in panchina. Ranieri, ormai fatto fuori, ha deciso in chiusura di fare di testa sua. Milan leggiadro ed evanescente: troppi brasiliani stanchi, compreso Kakà.
LInter, insistiamo, finirà per vincere questo campionato per autogol. Ossia per aver commesso un numero inferiore di errori rispetto alle altre. Meno brutta, non più bella. Da Mourinho si volevano, più che parole, interventi sul gioco, in modo tale da poter avanzare la candidatura nerazzurra alla Champions League. E andata malissimo, invece. Come lInter di Mancini: non aveva un gioco quella, non ce lha questa. In Italia possono bastare Julio Cesar, Maicon e Ibrahimovic. In Europa, no.
In giro ci sono Manchester e Barcellona, tanto per dire: formazioni dotate di campioni, di personalità, di manovra. Il Manchester cerca spazi in verticale, il Barcellona in orizzontale: hanno unanima, sono figlie di un disegno tattico. Il Chelsea non ha raggiunto la finale perché non lo meritava, non solo per larbitraggio del norvegese pelato Ovrebo, che nel suo paese, ci dicono, tifa per il Rosenborg e si nota. Tutti ricordano la seconda partita, ma è a Barcellona che Hiddink, per non prenderle, ha riproposto una versione moderna del catenaccio. Sono fatti suoi, direte. Giusto, ma lEuropa da sempre premia i buoni, non i cattivi.
E anche lInter, nonostante il suo strapotere economico e tecnico, è stata cattiva. Non ha dato, ha solo cercato di prendere. Contro il Chievo, formazione organizzata e che corre per disperazione, ha rischiato di perdere. Mancava Ibra, daccordo, ma due gol li ha comunque fatti. Con lo svedese ne avrebbe segnati altri? Il suo è stato, come sempre, un problema di gioco: lavversario ha fatto di più e di meglio.
Non è completa la quarta italiana, la Fiorentina, cui mancano quattro o cinque giocatori per essere effettivamente grande. Il Genoa ha gioco e corsa, ma nellinsieme il livello è quello che è. E tra laltro partirà Milito, il solo di qualità superiore. La sesta, se regge, è la Roma. Che a Cagliari si è svegliata dopo due gol, riproponendo lampi del gioco che fu. Meritava di vincere. Ma a Cagliari appunto, dove il migliore si chiama Daniele ed è figlio di Bruno Conti (che peccato quella brutta scena con Totti). Il Palermo e il Cagliari sono magnifici frutti di stagione. La Lazio e la Samp ci faranno presto sapere, affrontandosi in unattesissima finale di Coppa Italia.
Meglio la Lazio, a occhio. Che andrà comunque modificata. Forte in avanti e debole dietro, per questo soffre di alti e bassi. Le grandi squadre si fanno cominciando dalla difesa: il portiere, il centrale, poi i terzini e così via. La Lazio di oggi parte invece da Zarate, Pandev, Foggia e Rocchi. Come leggere un libro partendo dalla fine.